Identikit di un delitto (“The Flock”): quando la Settima Arte riprende le ataviche tematiche conradiane, recensione di Riccardo Rosati

Identikit di un delitto (“The Flock”): quando la Settima Arte riprende le ataviche tematiche conradiane

 

 

Genere: thriller

Nazione: USA
Anno produzione: 2007
Durata: 105’
Regia: Andrew Lau
Cast: Richard  Gere, Claire  Danes, KaDee Strickland, Russell Sams, Matt Schulze, Kristina Sisco

Produzione: LUCKY 50/DOUBLE NICKEL ENTERTAINMENT

Sceneggiatura: Hans Bauer, Craig Mitchell

 

L’inferno prima della pensione

Dopo anni passati a rintracciare colpevoli di crimini sessuali, l’agente Erroll Babbage (Richard Gere) è troppo coinvolto emotivamente e quindi deve affrontare anche i propri demoni mentre cerca una giovane scomparsa, sicuro che sia stata rapita da uno dei criminali in libertà vigilata che tiene sotto continua sorveglianza. L’acerba agente Allison Lowry (Claire Danes), che fa coppia con lui, deve imparare a conoscere questo lavoro prima che Babbage vada in pensione “forzata”, a causa di una autentica ossessione per il suo lavoro, cosa che lo ha isolato da tutto e tutti. Il tempo scorre e solo l’impedire la morte di quella ragazza potrà donare pace all’anima di un uomo pieno di rabbia e di rimorsi.

 

Le contaminazioni del Male

Tutti gli altri esseri uccidono per il cibo o per il territorio, dunque noi perché uccidiamo? Un film che solleva una serie di interrogativi su problemi complessi e inquietanti, legati alla violenza insita nell’uomo, sicuramente la creatura più feroce del pianeta, l’unica che procura danno per il solo piacere di farlo.

Interessante è anche il taglio investigativo della storia, visto che si capisce ben presto che non viene data molta importanza all’identità dell’assassino o alla indagine in sé. Difatti, questa pellicola dà risalto al “percorso” mentale che si deve affrontare per trovare criminali efferati, tanto dal rischiare di diventare talvolta troppo simili a loro e venire infine ingoiati dallo stesso male che si vuole combattere. Quest’ultima non è una questione nuova nel cinema e nella Letteratura Noir, ma il film la ripropone con una certa personalità, facendo involontariamente da eco alle tematiche care allo scrittore anglo-polacco Joseph Conrad (1857 – 1924), magistralmente incarnate nel suo assoluto capolavoro Cuore di tenebra (“Heart of Darkness”, pubblicato nel 1902 e inizialmente serializzato in tre episodi nella rivista Blackwood’s Edinburgh Magazine a partire dal febbraio del 1899). Sotto tale precipuo aspetto, quello di Lau va considerato uno dei pochissimi film genuinamente “conradiani”.

 

Di primo acchito, si direbbe che attraverso gli occhi di Babbage vediamo una  umanità che fa a dir poco ribrezzo. Tuttavia, come affermato pure dal protagonista, il messaggio che si vuole portare avanti nella storia è decisamente più profondo: “vedere la condizione umana per quella che è”.

Sulla scia di due classici dello psycho-thriller come Il silenzio degli innocenti (“The Silence of the Lambs”, 1991) di Jonathan Demme e Seven (1995) di David Fincher, questa prima opera americana del famoso regista di Hong Kong Andrew Lau (Infernal Affairs, 2002) racconta in modo efficace e senza sconti il dramma di un uomo emotivamente distrutto che, dopo diciotto anni passati a monitorare predatori sessuali, non distingue più nettamente il confine tra ciò che è lecito e non lecito fare. Il personaggio di Babbage è solidamente costruito e Richard Gere, forse fisicamente non adatto a interpretare un ruolo del genere, offre comunque una prestazione maiuscola, non scivolando mai nell’eccesso durante le scene più crude. Una prova decisamente buona da parte di Lau, il quale mostra di essere maturo per Hollywood. Una storia intensa, come detto così vicina alla visione dell’essere umano e della vita di Conrad, perfettamente riassunta dalla battuta più celebre di questa pellicola e che consideriamo imprescindibile qui riportare: “Se combatti troppo a lungo contro i draghi diventi un drago, e se troppo a lungo guardi l’abisso anche l’abisso poi guarderà te”; ecco, questa altro non è che la Darkness.

 Riccardo Rosati