CECCHINO, 50 anni di transumanar
Il cielo grigio accompagna con un po’ di pioggerellina la camminata veloce sulla via della Fontana 61, o dello Sport come ci piace chiamarla fra rioneresi. E’ il primo novembre, ma l’autunno ancora non arriva, con i suoi rigori e i suoi colori. Si corre per svago, o per salute (come indicano i dietologi).
Un campanaccio in lontananza preannuncia l’arrivo del gregge. Si avvicina e con esso anche l’odore tipico che emana, come nella grotta della Natività. A guidare l’ esercito errante è lui, Francesco, che da ragazzi chiamavamo Cecchino, uomo mite che fra le braccia ha il bastone del patriarca, lo maneggia come una dirlindana chisciottesca. La sua camminata lo prefigura identico come da ragazzo, robusto e col passo marziale: si scorrazzava a decine e decine di adolescenti sulle pietre laviche davanti alla chiesa del SS. Sacramento (o “r’ i Murt” in gergo), prima che le migrazioni spopolassero quasi del tutto quei borghi in una diaspora generazionale fra Nord ed Europa. Cecchino serba lo sguardo sereno, lo stesso di un tempo, di chi da decenni conduce con levità il transumanar per tradizione familiare, una missione di vita che conduce dagli antichi pascoli, per millenni fino ad oggi. Cecchino è l’ambasciatore di percorsi sotto le intemperie di un cielo non sempre generoso, specie con i deboli: è lì a guidare e proteggere greggi di creature da latte e da lana (e infine da macello). Lui si offre da mezzo secolo ai passi che attraversano prati e colline, transumanze quotidiane mentre lo segue in coda un ben più giovane migrante venuto dall’Est. Sono lì insieme ad alleviare quella solitudine fatta di lunghe mattine, di riflessioni, a vegliare su quelle bestie, come Serafino che scende dai monti (nel film di Germi). Lui aveva pane e formaggio nella sacca, nel manducare dantesco.
“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”, recita il Vangelo di Matteo nella Messa di Ognissanti.
A Cecchino, ai mandriani di ogni epoca va un’ode arcaica, a quei sacerdoti del silenzio che lasciano dietro scie di odori come incenso stantio; ai mandriani di ogni luogo e tempo (ripenso a Salvatore) che riaffiorano per rivivere i versi di Nikos Kazantzakis:
Abbiate cura degli animali, delle mucche
delle pecore
degli asini
Credetemi, anch’essi hanno un’anima,
sono esseri umani.
Solo che hanno il pelo lungo
e non sanno parlare;
sono uomini di un tempo remoto …
(Armando Lostaglio)