WOODY ALLEN – “A PROPOSITO DI NIENTE” – AUTOBIOGRAFIA
(recensione di Catello Masullo)
Woody Allen e’ il mio mito. Nella sua (prima e unica) autobiografia (traduzione di Alberto Pezzotta, Edizione La Nave di Teseo), appena data alle stampe (prima edizione digitale italiana, Marzo 2020), Allen dice che il suo mito e’ sempre stato Tennessee Williams, e che la sua (poco) segreta ambizione era di voler essere lui.
Io, invece, avrei voluto essere Woody Allen.
Il primo dicembre di quest’anno compirà 85 anni. Per me e’ il più grande filmaker di tutti i tempi: 55 film da regista, 80 film da sceneggiatore, 48 da attore, 142 premi vinti, tra cui 4 Oscar, e 223 nominations. Dal 1966 ad oggi, 55 film diretti in 54 anni. Una regolarità, una tenacia, una creatività e una qualità cinematografica media senza precedenti nella storia del cinema. Non ha sbagliato mai un film. Tutti gioiellini, tutti piccoli, geniali capolavori, nei più vari generi. Ho letto molte cose di Woody Allen e su Woody Allen. Ed anche alcune biografie. Mi sarebbe sempre piaciuto leggere una sua biografia scritta da lui.
Finalmente si e’ deciso a scriverla. Ci sono molti motivi per correre a comprare e a leggere questo libro. Prima di tutto perché e’ un libro piacevolissimo e divertentissimo. Dato che e’ scritto come i suoi film. Divinamente. Ironia sublime, battute irresistibili, grande senso del racconto. E poi perché e’ una straordinaria, entusiasmante, contagiosa carrellata sul meglio del cinema degli ultimi 50 anni, senza noiosi dettagli tecnici, ma cogliendo l’anima, l’essenza dei film, la magia, il profumo, i sentori (e la casualità) del loro momento creativo e realizzativo, impagabile.
Altro motivo di attesa e aspettativa, al quale l’autore non si sottrae, e’ quello di fare chiarezza sulla vicenda tristissima, di grande clamore mediatico, delle sue presunte molestie sessuali alla figlioletta Dylan. Devo dire che, istintivamente, di pancia, sono sempre stato convinto, sin dai primissimi tempi, che le accuse erano del tutto infondate. Ma non ho potuto nascondere a me stesso qualche piccolo punto percentuale (forse, meglio, millesimale…) di dubbio, per come le vicende erano state raccontate (distorte). Anche perché riconoscevo a me stesso di non essere totalmente terzo, ero portato a fare il tifo per il grande Woody. E forse anche perché ho sempre distinto l’uomo dall’artista. Anche se l’uomo si rende colpevole di atti poco commendevoli, per i quali e’ competente il codice penale, la sua produzione artistica va giudicata per le qualità dell’opera e non per i comportamenti dell’autore. Chi oserebbe, oggi, disconoscere la immensa genialità dei quadri di Caravaggio solo perché il pittore, notoriamente, non era uno stinco di santo? E lo stesso dicasi per tanti altri casi. Vedi ad esempio Roman Polanski.
Ciò premesso, sono davvero felice che questo libro conforti totalmente le mie convinzioni dell’epoca. E non perché Woody Allen proponga la sua versione dei fatti. Ma perché riporta, alla lettera, le conclusioni di due super commissioni di esperti, distinte e indipendenti, che dopo svariati mesi di indagini e approfondimenti, entrambe conclusero che 22 anni fa mai ci fu violenza sulla piccola Dylan, che all’epoca aveva solo 7 anni. E che invece ci fu un vero e proprio lavaggio del cervello sulla piccola malcapitata da parte della madre adottiva Mia Farrow (alcune delle sue baby sitter al processo dichiararono che in quel periodo Dylan era inquieta e piangeva spesso e quando le chiedevano il motivo, lei confessava: “Perché mamma vuole costringermi a dire le bugie”.). Mia Farrow si era data come scopo di vita di vendicarsi del suo ex-compagno Woody Allen, con questa frase lapidaria e programmatica: “Tu mi hai preso mia figlia (Soon-Yi, ndr.) ed io mi prenderò la tua (Dylan, ndr.)”.
E, nonostante tutte le evidenze scientifiche e processuali, di fatto ci e’ riuscita. Talmente bene, che 22 anni dopo, con lo scoppio del “#metoo” si e’ verificato un clamoroso ritorno di fiamma a scoppio ritardato. La bimba dell’epoca, Dylan, oggi sposata e madre, totalmente condizionata da anni di costrizioni psicologiche da parte di Mia Farrow, rilancia le accuse a Woody Allen.
Ed e’ ripartita, alla grande, la macchina del fango. Con il risultato che una valanga di contratti sono stati annullati e che l’ultimo suo capolavoro, Un Giorno di Pioggia a New York, che ha ricevuto unanimi consensi in tutto il mondo, nel suo paese, gli USA, non e’ stato mai distribuito. E c’e’ stata la rincorsa delle star che hanno lavorato con Allen a disconoscere pubblicamente la collaborazione. Compreso l’emergente protagonista dell’ultimo film, Timothée Chalamet, salvo poi confessare che lo aveva fatto perché in tal senso consigliato dal suo agente, per migliorare, a suo dire, le chances nella corsa agli Oscar per il film del nostro Guadagnino, Chiamami con il tuo Nome.
Senza parole! Gli USA sono un grande paese in tante cose, ma su questi temi, fossi un americano, mi vergognerei di avere quel passaporto. Woody Allen racconta tutto questo calvario senza un pizzico di acrimonia, o di quel livore che sarebbe del tutto umano e comprensibile avesse. Nella sua fede incrollabile nella giustizia, nella sua profonda convinzione di aver sempre tenuto un comportamento irreprensibile nei confronti dei suoi figli e del suo prossimo in generale (mi piace riportare al proposito una citazione dal libro che mi pare illuminante : “La mia addetta stampa, Leslee Dart, una volta mi ha fatto notare che in mezzo secolo di cinema ho lavorato con centinaia di attrici e ho scritto centosei ruoli femminili da protagonista che sono valsi sessantadue nomination alle loro interpreti, senza che emergesse mai alcunché di inopportuno nei miei rapporti con loro. Come del resto con tutte le comparse e tutte le controfigure dei miei film. Inoltre, essendo indipendente dagli studios, ho impiegato duecentotrenta donne in ruoli di rilievo nelle troupe, per tacere di montatrici e produttrici – tutte pagate esattamente quanto i loro corrispettivi maschili.”).
Woody Allen ha sempre voluto affrontare a testa alta questa incredibile vicenda. Rifiutando ogni proposta di transazione ed accomodamento, per evitare il clamore mediatico e il prezzo elevatissimo che ne sarebbero conseguiti. Ha subito accettato, all’epoca del processo, di sottoporsi alla macchina della verità, cosa che, significativamente, ha rifiutato di fare Mia Farrow, pur esplicitamente invitata dai giudici a farlo a sua volta. In definitiva, Allen, pur non cedendo alla comprensiva tentazione di cogliere l’occasione dell’attesa autobiografia per togliersi i proverbiali sassolini (piuttosto “massi”…, nella specie) dalle scarpe, mette con la semplicità e la calma dei forti una pietra tombale su questa ignobile storia. Deo Gratias!
Mi interessa, però, di più, qui fornire all’eventuale lettore qualche assaggino del libro, una serie di mini-aperitivi, tanto per fargli venire l’acquolina in bocca. Limitandomi a poche, ma gustose citazioni, che ci aiutano a scoprire un Woody Allen in gran parte inedito e sorprendente. A cominciare dal suo proverbiale quoziente di intelligenza, “Che non era cosi alto, cari lettori, anche se a sentire mia madre avrei dovuto essere capace di spiegare la teoria delle stringhe. Ma lo vedete dai film che ho fatto: alcuni sono divertenti, ma nessuna delle mie idee sarà mai la base di una nuova religione”. Altro mito da sfatare : “…e’ sorprendente quanto spesso io sia etichettato come “intellettuale”. E’ vero quanto e’ vero che esiste il mostro di Loch Ness, dal momento che non ho un solo neurone intellettuale nel cervello”. E quello della sua religiosità: “Odiavo la scuola ebraica quanto la scuola pubblica, e vi spiego perché. Per cominciare, ho sempre pensato che la religione fosse un grande imbroglio. Non ho mai creduto nell’esistenza di un dio, ne’ che questi avesse una predilezione per gli ebrei, se mai fosse esistito. Mi piaceva la carne di maiale. Odiavo la barba”.
Sorprendenti le lacune e i gusti cinematografici : “Per quanto riguarda i film, non ho mai visto Charlot soldato o Il circo di Charlie Chaplin, ne’ Il navigatore di Buster Keaton. Non ho mai visto nessuna delle versioni di È nata una stella. Malgrado tutti i miei sabati al Midwood Theater, mi sfuggirono Com’era verde la mia valle, Cime tempestose, Margherita Gauthier, Perdutamente tua, Ben-Hur e molti altri. Strada maestra, La casa sulla scogliera, La moglie di Frankenstein: non pervenuti. Non lo dico per snobismo: sto parlando della mia ignoranza e del fatto che un paio di occhiali non bastano a rendere colta una persona, e tanto meno intellettuale. E questo è solo un piccolo esempio delle mie lacune. A tutt’oggi, non ho mai visto È arrivata la felicità o Mr.Smith va a Washington…. Sto solo indicando alcune icone che sorprendentemente per me significano meno che per il grande pubblico. Come A qualcuno piace caldo e Susanna!: non mi hanno mai divertito. E non mi piace La vita è meravigliosa, che mi fa venire voglia di strozzare quel melenso angelo di seconda classe. Ho adorato Hitchcock, ma non La donna che visse due volte. Lubitsch mi fa impazzire, ma Vogliamo vivere! non mi ha mai fatto ridere. Mancia competente invece mi stende, e’ perfetto. Mi piacciono i musical: Cantando sotto la pioggia, Gigi, Incontriamoci a Saint Louis, Spettacolo di varietà, My Fair Lady. Non mi e’ mai piaciuto Un americano a Parigi. Non mi hanno mai fatto ridere Eddie Bracken, Laurel & Hardy o, ci mancherebbe altro, Red Skelton. Ovviamente i fratelli Marx e W.C. Fields sono i più grandi di tutti. Mi sono piaciuti Rex Harrison in Infedelmente tua e il Pigmalione di Leslie Howard con Wendy Hiller. Penso che quella di Shaw sia la miglior commedia di tutti i tempi, e la preferisco a qualunque cosa di Shakespeare, Wilde e Aristofane, anche se quest’ultimo a volte mi ricorda Kaufman & Hart, che mi piacciono. Ho un debole per Nata ieri, soprattutto nella versione con Judy Holliday e Broderick Crawford. D’altro canto, non ho mai trovato neanche vagamente divertenti ne’ Il grande dittatore ne’ Monsieur Verdoux”.
Nondimeno il suo rendimento scolastico : “Venni bocciato anche in cinema…Chiesi un’ultima possibilità per evitare che mia madre salisse su una pira accesa”!.
Sempre impagabile nelle battute, nessuno meglio di lui: “Mi chiesero quale fosse il mio scopo nella vita. “Forgiare nella fucina della mia anima la coscienza increata della mia razza e vedere se si può riprodurre in plastica,” risposi”. Oppure: “…forse era la conseguenza del trauma provato quando mi resi conto che i film di Fred Astaire non erano documentari”.
Interessanti le confessioni sulle sue abilità informatiche… : “Non possiedo computer, non so neanche cosa sia un programma di scrittura, non ho mai cambiato un fusibile, spedito una email o lavato un piatto. Sono uno di quegli anziani cui bisogna dare un telecomando con tutti i tasti coperti dallo scotch, di modo che possa solo accendere, spegnere e regolare il volume”.
Quando racconta che: “A sedici anni mi concessi il lusso di una macchina da scrivere nuova, una Olympia portatile. Ci ho battuto sopra tutto quello che ho scritto: sceneggiature, commedie, racconti, pezzi per il ‘New Yorker’. Ancora oggi, non ho imparato a cambiare il nastro. Ci pensa mia moglie ma, quando ero single, conoscevo un tipo che invitavo a cena ogni volta che dovevo cambiare il nastro…”, non dice però che chiese al venditore se la macchina fosse stata robusta e che questi gli disse: “Camperà più di te”. Fu in effetti profeta, dal momento che a distanza di 69 anni ancora sforna i copioni più deliziosi che vengano scritti per il grande schermo.
Quando cercò di convincere Jack Rollins che voleva fare il cabarettista, lui lo mise subito alla prova con un “Sentiamo un po’…”, e Woody Allen : “Avete fatto caso che il ‘New York Times’ e l’unico quotidiano senza fumetti? Potrebbero metterne uno tipo Superman, solo che, quando lui entra nella cabina telefonica a cambiarsi, esce fuori un broker di Wall Street.”
Il libro e’ anche ricco di aneddoti spassosi, descritti, naturalmente, in modo impareggiabile: “Peter O’Toole era una persona carina che il primo giorno di riprese mi regalò un maglione irlandese che possiedo ancora. Mi spiegò che ognuno di essi era lavorato a maglia con un motivo diverso, di modo che, se chi lo portava moriva annegato, il suo cadavere sfigurato poteva essere riconosciuto senza margine di errore. Da quel momento ebbi la certezza che, se fossi caduto nella Senna e avessero ripescato la mia salma, mia madre avrebbe potuto identificarmi e disdire gli abbonamenti alle riviste che avevo fatto”.
Molti gli interrogativi e le cose che Allen non si spiega. Come gli straordinari incassi di Ciao Pussycat, a proposito dei quali teorizza che: “La scienza deve ancora scoprire il rapporto tra la bruttezza di un film e il suo successo”.
A proposito della deliziosa Diane Keaton: “Vedevi da come si vestiva che era trendy, se pensavi che una zampa di scimmia appuntata sul bavero del cardigan fosse chic. Sfoggiava sempre un’immaginazione un po’ eccentrica, come se il suo personal shopper fosse Buñuel”. Di lei (e delle altre sue due sorelle) racconta :” Non abbiamo mai litigato e mi auguro in futuro di lavorare spesso con lei. In seguito frequentai sua sorella Robin, con cui ebbi una breve relazione. Dopodiché ebbi un piccolo flirt con la terza sorella, Dory. Le tre sorelle Keaton: tre donne belle e meravigliose. Complimenti al DNA di famiglia”.
Proverbiale e mitologico il suo disinteresse ai premi e alle cerimonie celebrative, a proposito di Io e Annie, invece di partecipare alla kermesse più ambita da ogni filmaker del mondo, fece quello che faceva abitualmente ogni giorno, andò ad esibirsi in un localino con la sua jazz band : “…la notte degli Oscar del 1978 suonai meglio che potei, tornai a casa, dormii e la mattina dopo un articolo del ‘New York Times’ – prima pagina, ma taglio basso – annunciava che avevamo vinto quattro Oscar, compreso quello per il miglior film. Reagii come quando avevo saputo dell’assassinio di Kennedy. Ci pensai per un minuto, poi finii la mia ciotola di cereali, andai alla mia macchina da scrivere e mi misi al lavoro”.
Il rifiuto di far parte di qualsiasi organizzazione: “Non sono mai entrato a far parte dell’Academy malgrado la loro insistenza, ma solo perché sono uno a cui piace stare da solo. L’unica organizzazione di cui ho preso la tessera in vita mia e’ stata quella dei boy-scout, a dieci anni, e me ne sono pentito. Non ho mai imparato neanche cose elementari come usare una bussola e a tutt’oggi, per sapere dov’è il nord, devo mettermi davanti a Zabar’s, un deli dell’Upper West Side”.
Altra sorpresa la totale mancanza di curiosità di Woody Allen: “Non ho alcun desiderio di vedere il Taj Mahal, la Grande Muraglia cinese e il Grand Canyon. Non voglio visitare le piramidi o passeggiare nella Città Proibita. E di certo non voglio andare nello spazio per vedere la Terra da lontano e sperimentare l’assenza di gravità. Sono un grande fan della gravità e spero che duri il più possibile. Non mi chiedo neanche che cosa sia tutto quel vapore che esce dalle grate nelle strade di Manhattan”.
A proposito di Soon-Yi, prima che divenisse sua moglie : “Intanto ciò che disse a proposito di sua madre mi fece notare le rosse bandiere di pericolo finora ignorate e che ormai garrivano febbrilmente al vento impetuoso del senno di poi – scusate, ma e’ con frasi così che si vince il National Book Award”. Ed ancora, la mestizia amaramente ironica su: “L’opinione pubblica mi saltò addosso anche quando, parlando del mio amore per Soon-Yi, dissi che il cuore vuole ciò che vuole. Venne considerata un’affermazione egoista, ma pochi (o forse nessuno) si accorsero che stavo semplicemente citando Saul Bellow che citava Emily Dickinson, e non volevo dare voce a una mia filosofia. Avevano saputo che ero a Venezia e che ci eravamo appena sposati. Prima di consumare il matrimonio guardai sotto il letto. Due giorni dopo andammo al Ritz, a Parigi, per la nostra luna di miele, e ormai il segreto era finito sulla prima pagina dei giornali. Soon-Yi e io eravamo marito e moglie. La cosa non ebbe grosse ripercussioni sul mercato azionario, anche se lo Xanax salì di dieci punti.”.
Sui trucchi e la magia nei suoi film: “Una critica perspicace anni fa scrisse un libro su questo tema ricorrente nei miei film. La storia le ha dato ragione. Mi pare che l’unica speranza dell’umanità risieda nell’illusione. Ho sempre odiato la realtà, ma e l’unico posto dove si trovino gustose ali di pollo.”
In definitiva questa autobiografia di Woody Allen e’ assolutamente imperdibile. Per tutti, per i suoi fan, per cinefili e non, per i suoi detrattori, perfino per i paladini del “#metoo”.
E spero che la leggano anche Mia Farrow e la sua squadra di pallanuoto di figli adottivi a cui ha lavato il cervello, per la resipiscenza non e’ mai troppo tardi. In ogni caso, alla fine di questa meravigliosa, coinvolgente, rutilante, inebriante carrellata sui film tra i più belli della storia del cinema, una cosa ti rimane: la voglia irrefrenabile di andare a rivedere tutti i capolavori di Woody Allen.