LA NAPOLI DI MIO PADRE , recensione di Catello Masullo
cast artistico
Regia ALESSIA BOTTONE
Soggetto e sceneggiatura ALESSIA BOTTONE
Montaggio e color correction MARTINA DALLA MURA
Musiche originali LUCA BALBONI
Montaggio del suono MASSIMILIANO TITI
Progetto grafico MATTEO SACCOMANI
Ricerche di archivio ALESSIA BOTTONE, ALICE ORTENZI, CLAUDIO OLIVIERI, MILENA FIORE E CRISTIANO MIGLIORELLI
Consulenza esecutiva MARIANGELA GALOTTO
Prodotto da ALESSIA BOTTONE in collaborazione con ARCHIVIO AUDIOVISIVO del MOVIMENTO OPERAIO e DEMOCRATICO, ISTITUTO LUCE e K-STUDIO. Si ringrazia la ONG SEA-WATCH per le immagini di archivio. Progetto sviluppato all’interno del PREMIO CESARE ZAVATTINI edizione 2018/19. Con materiale dell’ARCHIVIO AAMOD, ISTITUTO LUCE CINECITTÀ, HOME MOVIES e per concessione della FONDAZIONE CINETECA di BOLOGNA.
Nazionalità Italiana
Anno di produzione 2020
Durata Film 20 minuti
VALENTINA BELLÈ Figlia, voce narrante
GIUSEPPE BOTTONE Padre, interpreta se stesso, voce narrante.
Sinossi : Giuseppe guardava l’orizzonte come si osserva un desiderio, come qualcosa da raggiungere per cercare di essere libero. Fin da bambina sua figlia Alessia, la regista, lo vedeva spesso affacciarsi alla finestra, domandandosi cosa fosse in grado di attirare la sua attenzione in modo così intenso. Diversi anni dopo, durante un viaggio di ritorno a Napoli, città natale del padre, Alessia si ritrova a osservare nuovamente il padre. Anche questa volta Giuseppe è sempre di profilo e, mentre il paesaggio scorre incorniciato nel finestrino di un treno, il suo sguardo cerca di catturare ogni momento, per fermare quegli attimi e salvarli dallo scorrere veloce del tempo. Il padre descrive la sua Napoli e la sua infanzia concentrata nel quartiere Vicaria, tra i migranti che affollavano la stazione, Nanninella, Don Mario e il suo amico Napoleone con il quale esplorava la città con due taralli nelle tasche e tanti sogni nella testa. Il racconto di Giuseppe si focalizza anche sul tema della fuga nonché sulla paura dell’ignoto che accomuna gli emigranti italiani del secolo scorso con la valigia di cartone, ai migranti a bordo dei barconi dei giorni nostri. Mentre il treno divora le rotaie chilometro dopo chilometro, Alessia riesce a capire a cosa pensava e cosa vedeva suo padre quando si affacciava alla finestra: i suoi ricordi. Il ritorno a Napoli si trasforma quindi in un’occasione per raccontare il viaggio di una vita e conoscere le proprie origini. Perché per quanto lontano possiamo andare, torniamo sempre là, dove tutto è iniziato.
Note di regia : L’idea del film nasce da due esigenze: da una parte la necessità di raccontare, in una storia, il rapporto tra padre e figlia; dall’altra la volontà di focalizzarmi sul tema della fuga, intesa dalla realtà ma anche come mezzo di sopravvivenza per i migranti e i richiedenti asilo. Il film trae ispirazione da un viaggio a Napoli con mio padre e mio fratello, a bordo di un treno notturno, durante il quale sono finalmente riuscita a capire cosa vedeva mio padre quando, anni prima, si affacciava alla finestra: i suoi ricordi. Chi sei papà? Cosa vedi fuori da questo finestrino? Tu torni a casa, io invece dove sto andando? Questi sono alcuni degli interrogativi che mi sono posta durante quel viaggio. Mi sono sempre sentita parte di un Sud che ho conosciuto solo grazie agli aneddoti di mio padre e di un Nord dove sono nata e cresciuta e mi sono chiesta se questa sensazione fosse condivisa anche dai figli dei nuovi migranti. Vivere in un contesto in cui convivono più culture è indubbiamente arricchente, ma trovare una propria identità all’interno di questa ricchezza non è sempre facile. Ho quindi raccolto i ricordi di mio padre per poi tornare nella sua città natale e mi sono ritrovata davanti ad uno specchio, sorprendendomi di riuscire a vedere, finalmente, un’altra parte di me stessa. Mi sono dedicata al tema della migrazione per sintetizzare la mia esperienza sia come giornalista che come dipendente di un centro di accoglienza in Svizzera, dove ho lavorato con persone che vivevano in fuga alla ricerca di un posto nel mondo. Ho deciso di allontanarmi dai numeri e dalle statistiche per porre l’attenzione sulla paura dell’ignoto che accomuna gli emigranti italiani del secolo scorso con la valigia di cartone, ai migranti e richiedenti asilo sui barconi dei giorni nostri. Il risultato è un dialogo silenzioso tra viandanti, che custodiscono gelosamente il loro passato pur combattendo l’ambiziosa battaglia dell’accettazione e dell’integrazione in una nuova terra. Il tema è affrontato grazie alle immagini degli sbarchi di migranti albanesi del 1991 dell’Archivio Aamod e le riprese dei salvataggi in mare ad opera della ONG Sea Watch. Il ruolo della figlia è stato affidato all’attrice veronese Valentina Bellè, la quale ha saputo trasformare i miei interrogativi in una storia universale, un racconto che accomuna tutti coloro che sentono il bisogno di avventurarsi nella parte più intima del proprio vissuto. La voce di Valentina, talvolta malinconica e al tempo stesso magnetica e avvolgente, permette allo spettatore di entrare in contatto con i suoi sentimenti e con i suoi ricordi di bambino e lo incita ad affrontare i dubbi con coraggio e con uno sguardo indulgente. Da un punto di vista narrativo, mi sono ispirata al racconto “Un paio di occhiali” di Anna Maria Ortese. La protagonista dell’opera, una bambina napoletana allegra, molto povera ed estremamente miope ottiene in regalo un paio di occhiali che, per la prima volta, le permettono di vedere ciò che ruota attorno a sé. A quel punto, rendendosi conto dello squallore della sua esistenza, getta gli occhiali nel fango e preferisce tornare a vivere come prima, ignorando la realtà. Lo stesso fa Giuseppe, che fin da piccolo decide di vedere il mondo solo come piace a lui. La reazione di sua madre, che di fronte alla scoperta dell’esistenza di un altro modo di vivere si nasconde dietro le persiane della cucina, pur di non sentirsi giudicata, lo segna particolarmente indicandogli la via da seguire: il viaggio verso nuove mete all’insegna della libertà dal pregiudizio. Ed è proprio la voce narrante di Giuseppe che ci accompagna in una Napoli che non esiste più ma continua a vivere nei suoi ricordi. Le immagini di archivio danno forma al suo viaggio nel passato, accompagnando lo spettatore in una dimensione onirica. Grazie alla partecipazione al Premio Zavattini, ho compreso la forza delle immagini di archivio e la loro vitalità ed è come se mi avessero suggerito che quella era l’unica strada da percorrere per raccontare il viaggio di una vita. La ricerca delle immagini e il loro studio, che si muoveva di pari passo con la ricostruzione dei ricordi, hanno reso la realizzazione di questo film il viaggio stesso che volevo raccontare
RECENSIONE DI CATELLO MASULLO : Alessia Bottone racconta una storia di forte impronta autobiografica mediante una sapiente ricerca e montaggio di materiali di archivio. Utilizzati con maestria ed originalità, riuscendo a ricavarne una sorprendente funzione diegetica. I temi sollevati hanno una valenza che travalica la storia personale. I temi de ricordo e del ritorno si coniugano, in continuità creativa, con quelli, di scottante attualità, della migrazione, della paura del diverso, dell’estraneo. Che induce a respingere ed a lottare contro il diverso. Che porta chi dovrebbe accogliere a chiudere le porte. E porta chi vorrebbe essere accolto a cancellare, negare le proprie origini, nella spasmodica ricerca di una mimetizzazione che li ripari dal respingimento e dalla discriminazione. E’ particolarmente interessante l’analisi antropologica che porta a notare come il grado di chiusura verso il diverso sia direttamente proporzionale con il benessere aggiunto. Arrivando a far mutare l’atteggiamento alle medesime persone mano a mano che tale benessere raggiungono. “La Napoli di mio padre”, prodotto nell’ambito del Premio Zavattini in collaborazione con Archivio Aamod, Istituto Luce e K-Studio, ha ricevuto già numerosi riconoscimenti : Miglior Sceneggiatura e Miglior Montaggio al Festival Filoteo Alberini e al Festival Ethnos di San Giorgio a Cremano (1° classificato Sezione Cinema), selezionato al Festival Sign of the Nuit di Bangkok e in concorso per la sezione BEI DOC al 38°Bellaria Film Festival, al Matera Film Festival, al Sedicicorto International Film Festival di Forlì, e al Festival “Non c’è differenza” di Verona. Premiato inoltre al Bellaria Film Festival dalla giuria presieduta da Moni Ovadia, al Salerno Film Festival, al Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, al CoffiCortOglobo e al Roma Film Corto nonché finalista al Matera Film Festival, al FIPADOC Documentary Festival di Biarritz, al FriCine di Rio de Janeiro e al Festival Etnografica 2020 di Castilla y Leon.
VALUTAZIONE SINTETICA : 7.5