Caffè in celluloide, di Catello Masullo
La registrazione dell’evento e del film antologico originale può essere scaricata dal seguente link: https://www.cinecircoloromano.it/2021/03/eventi-dibattiti/i-mercoledi-culturali-del-cinecircolo-romano-17-marzo-2021-caffe-in-celluloide/
I principali contenuti sono anche riassunti di seguito.
- Il Caffè
Il caffè si ottiene dai semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali appartenenti al genere Coffea, parte della famiglia botanica delle Rubiaceae, un gruppo di angiosperme che comprende oltre 600 generi e 13.500 specie.
Le specie di caffè coltivate su grande scala sono tre (Coffea arabica, Coffea canephora (o “robusta”) e, in minor misura, Coffea liberica). Una decina vengono coltivate localmente.
La specie che è stata usata per prima è Coffea arabica, una pianta originaria dell’Etiopia (dove il caffè viene chiamato buna), del Sudan sud-orientale e del Kenya settentrionale e in seguito diffusasi nello Yemen, luogo in cui si ebbero le prime tracce storiche del consumo della bevanda, nel lontano 1450 tra i seguaci del sufismo.
I semi di Coffea arabica hanno un contenuto di caffeina molto inferiore a quelli delle altre specie di larga diffusione e rispetto alle altre specie è autoimpollinante, cioè autogama e inoltre predilige coltivazioni ad alta quota (tra 1000 e 2000 metri). La coltivazione di Coffea arabica fuori dei territori d’origine è iniziata molto presto, p.es. in Indonesia nel 1699.
Molto coltivata oggi è Coffea robusta (o Coffea canephora). È una specie originaria dell’Africa tropicale, tra l’Uganda e la Guinea, molto adattabile (cresce anche a quote inferiori ai 700 metri) e perciò più economica. La sua coltivazione è iniziata solo nell’Ottocento. È una pianta allogama, quindi richiede impollinazioni incrociate che la possono differenziare geneticamente con più facilità rispetto alla arabica.
Tra le specie di coltura meno diffusa, la più importante è Coffea liberica, originaria della Liberia e coltivata, oltre che in Africa occidentale, soprattutto in Indonesia e nelle Filippine.
La parola araba “qahwa” (قهوة), in origine, identificava una bevanda prodotta dal succo estratto da alcuni semi che veniva consumata come liquido rosso scuro, il quale, bevuto, provocava effetti eccitanti e stimolanti, tanto da essere utilizzato anche in qualità di medicinale. Oggi questa parola indica, in arabo, precisamente il caffè.
Dal termine “qahwa” si passò alla parola turca Kahve attraverso un progressivo restringimento di significato, parola riportata in italiano con “caffè”. Altri sostengono che il termine caffè derivi dal nome della regione in cui questa pianta era maggiormente diffusa allo stato spontaneo, Caffa, nell’Etiopia sud-occidentale.
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all’Etiopia, si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale, sostiene che il miglior caffè sia quello di Mokha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l’indizio per individuarne il luogo d’origine.
Esistono molte leggende sull’origine del caffè. Si narra, ad esempio, che il profeta Maometto, sentendosi male, ebbe un giorno la visione dell’Arcangelo Gabriele che gli offriva una pozione nera (come la Sacra Pietra della Mecca) creata da Allah, che gli permise di riprendersi e tornare in forze. Esiste anche una leggenda che narra di un incendio in Abissinia di piante selvatiche di caffè che diffuse nell’aria il suo fumo per chilometri e chilometri di distanza.
Nel XV secolo la conoscenza della bevanda a base di caffè si estese fino a Damasco, al Cairo per arrivare infine ad Istanbul, dove il suo consumo avveniva nei luoghi d’incontro dell’epoca.
Nella sua opera Sylva sylvarum, pubblicata postuma nel 1627, Francis Bacon fornisce per primo una descrizione di questi locali in cui i turchi siedono a bere caffè, paragonandoli alle taverne europee.
I primi a descrivere in Europa la pianta di caffè furono: in Germania il botanico Léonard Rauwolf, in un libro pubblicato nel 1583 e in Italia, il marosticense Prospero Alpini, nel suo libro De Medicina AEgyptiorum datato 1591. Nella rappresentazione di Prospero Alpini mancano però le bacche della pianta di caffè, che furono descritte in Europa solo nel 1605 da Charles de L’Écluse, direttore allora del giardino botanico di Vienna.
Per i suoi rapporti commerciali in Vicino Oriente, Venezia fu la prima a far uso del caffè in Italia, forse fin dal XVI secolo; ma le prime botteghe del caffè furono aperte solo nel 1645 ed il medico e letterato Francesco Redi nel suo Bacco in Toscana già cantava:
« Beverei prima il veleno Che un bicchier che fosse pieno Dell’amaro e reo caffè » |
Verso il 1650, cominciò ad essere importato e consumato in Inghilterra e si aprirono di conseguenza i primi caffè (intesi come circoli e bar e detti in inglese coffeehouse), come ad esempio quelli di Oxford e di Londra. Nel 1663 in Inghilterra vi erano già 80 coffeehouse, cresciuti vertiginosamente fino a superare le 3000 unità nel 1715. I caffè divennero presto luoghi di nascita e diffusione di idee liberali, e furono frequentati da letterati, politici e filosofi, diffondendone l’uso in tutta Europa. Nel 1670 aprì il primo caffè a Berlino e nel 1686 a Parigi.
Nel 1689 venne inaugurato il primo caffè negli Stati Uniti, a Boston, denominato London Coffee House. Seguì il The King’s Arms, aperto a New York nel 1696.
Nel 1720 Gabriel de Clieu, un ufficiale della marina francese, salpò alla volta dei Caraibi con due piantine di caffè di cui solo una sopravvisse arrivando alla colonia francese della Martinica. Da lì, nei decenni seguenti, le piante si diffusero rapidamente in tutto il Centroamerica: Santo Domingo (1725), Guadalupa (1726), Giamaica (1730), Cuba (1748) e Porto Rico (1755).
Nello stesso periodo, precisamente nel 1718, gli olandesi trasportarono il caffè in un’altra loro colonia, la Guiana Holandese (attuale Suriname) da cui, nel 1719 entrò nella Guiana Francese e di qui penetrò infine in Brasile, dove, nel 1727, vennero create le prime piantagioni. L’industria nelle colonie dipendeva esclusivamente dalla pratica della schiavitù, abolita solo, peraltro formalmente, nel 1888.
Fu Carlo Linneo, botanico svedese a cui si deve la diffusione del sistema di classificazione degli organismi in genere e specie, a proporre per primo il genere Coffea nel 1737.
Per Artusi, la miscela ideale dovrebbe essere composta da 250 g di Porto Rico, 100 di Santo Domingo e 150 di Moka.
Curiosità : il caffè più pregiato del mondo, il “Kopi Luwak“, si produce in Indonesia. La produzione è dell’ordine dei 50 kg l’anno, e costa all’incirca 500€ al kg. La particolarità del Kopi Luwak risiede nel fatto che si tratta di chicchi di caffè mangiati e digeriti dallo zibetto delle palme (luwak), raccolti poi a mano e tostati normalmente.
Il mercato globale di settore consta di circa 90.000 milioni di dollari. Il Brasile, da solo, produce quasi un terzo del caffè nel mondo. Il suo raccolto medio, si è aggirato sui 32 milioni di sacchi (un sacco equivale a 60 kg) con esportazioni intorno ai 27 milioni.
Tra i produttori, al secondo posto,troviamo il Vietnam, che ha superato in pochi anni la Colombia, ora al terzo posto, grazie alla sua vicinanza geografica con il mercato cinese che ha visto aumentare notevolmente i consumi. Altri grandi produttori mondiali sono Indonesia, Messico, India ed Etiopia.
Il commercio del caffè è dominato da poche grandi multinazionali. Una élite di 20 grandi società, di cui una sola proviene da un grande paese produttore, controlla più di tre quarti del mercato del caffè. Gli operatori commerciali più grandi sono: Neumann Kaffee (Germania), Volcafè– EDF Man (Svizzera), Cargill (Stati Uniti), Esteve (Brasile/Svizzera), Sucafina (Svizzera), Aron (Stati Uniti), Dreyfus (Francia), Mitsubishi (Giappone).
- Il Caffè in celluloide
In Internet movie data base ci sono oltre 200 titoli con Caffè o Coffee nel titolo, e ben 34 film hanno per titolo esclusivamente “Coffee”. Per la maggior parte dei casi, però, i titoli fanno riferimento piuttosto ai locali di ritrovo che dalla bevanda hanno preso il nome. Non sono affatto pochi, peraltro, i film in cui il caffè, inteso come bevanda, ha un ruolo più o meno importante. O, comunque , appare più volte. Essendo oramai in connubio inscindibile con l’attività umana. Al solito, per questa ricerca, mi limiterò a pochi titoli, tra quelli più significativi e paradigmatici. Tralasciando (e dimenticando) un numero molto più grande di film dove la bevanda aromatica per antonomasia ha lasciato sprigionare le sue inebrianti nuvolette di fumo odoroso.
- Il caffè in celluloide più viaggiante (ed acrobatico…) : “Cafè Express”, (1980), di Nanni Loy, con uno straordinario Nino Manfredi, venditore abusivo di caffè sui treni e profondo conoscitore delle linee ferroviarie e dei punti della linea in cui scambi o stazioni inducono brusche sollecitazioni, costringendolo a vere acrobazie per non versare la bevanda aromatica per antonomasia.
- Il caffè in celluloide più epico e tostato(e meno ricamato…) : “La Mia Africa” (“Out of Africa”), (1985), di Sidney Pollack, la coraggiosa Meryl Streep si avventura a piantare il caffè nelle sue tenute africane anche se a quote ritenute non adatte. A Robert Redford che gli chiede perché lo avesse fatto, risponde : “perché non so ricamare…!”. Un grave incendio distrugge la farm, con tutto il caffè, che diventa così il più “tostato”… della storia del cinema.
- Il caffè in celluloide più “doppio” : “Un Corpo da reato” (“One Night at McCool’s”), (2001) di Harald Zwart , Michael Douglas, all’inizio del film, nella sala bingo dove trascorre la gran parte delle sue giornate, ricevendo un nervosissimo Matt Dillon, ordina alla cameriera : “due tazze di caffè”. L’impacciatissimo Dillon , rivolto a sua volta alla stessa cameriera, ordina : “due tazze di caffè anche a me!”.
- Il caffè in celluloide più micidiale : “Salvatore Giuliano”,(1962), di Francesco Rosi, il più celebre caffè avvelenato viene servito in carcere a Gaspare Pisciotta (Frank Wolf).
- Il caffè in celluloide più alcolico (e meno perfetto…) : “A Qualcuno Piace Caldo” (“Some Like It Hot”), (1959), di Billy Wilder, il cameriere del locale clandestino chiede al poliziotto in borghese : “Cosa desidera?”, “Alcol” è la risposta. “Spiacente, serviamo solo caffè”. “Caffè?”. “Caffè distillato, caffè scozzese, caffè canadese…”. Il film resterà però indimenticabile per uno dei finali più divertenti che si ricordi. L’autista Osgood (il mitico Joe E. Brown ) si è follemente innamorato di Jack Lemmon, nel suo travestimento da donna, tanto da sbilanciarsi in una seria proposta di matrimonio. Il Colloquio tra i due, ad esergo finale, nel motoscafo in fuga, è da antologia : “Ti darà il suo vestito da sposa con il merletto bianco!/ Ma non posso sposarmi con l’abito di mammà. Vedi, io e lei non siamo fatte allo stesso modo./ Qualche colpo di forbice. / Oh, no! Te lo scordi! Osgood, voglio essere leale con te : non possiamo sposarci affatto! / Perché no? / Beh, in primo luogo non sono una bionda naturale. / Non mi importa. / Fumo Come un turco. / Non mi importa. / Ho un passato burrascoso : per più di tre anni ho vissuto con un sassofonista. / Ti perdono. / Non potrò mai avere bambini. / Ne adotteremo un po’. / Ma non capisci proprio niente , Osgood, sono un uomo! / Beh, nessuno è perfetto!”.
- Il caffè in celluloide più caustico : “L’Ombra del Dubbio” (Shadow of a Doubt), (1943), di Alfred Hitchcock, in cui si parla di un caffè con soda caustica, nella conversazione tra Henry Travers (l’indimenticabile Clarence, l’angelo di seconda classe senza ali di “La Vita è meravigliosa”)e l’ amico Hume Cronyn, con il quale teneva conversazioni accademiche sui modi più fantasiosi di commettere omicidi in modo raffinato.
- Il caffè in celluloide più diplomatico : “Balla coi Lupi” (“Dances with Wolves”), (1990)di Kevin Kostner, il protagonista, nel primo incontro ufficiale con i nativi li conquista con il rito della macinazione del caffè, che è il più “diplomatico” della storia del cinema.
- Il caffè in celluloide più conteso : “Guardie e Ladri”, (1951) , di Mario Monicelli e Steno “perché il caffè non lo prende lei?”, è la contesa.
- Il caffè in celluloide più floreale : “Il Mattatore”, (1960), di Dino Risi, Vittorio Gassman dice : “Il caffè è come un fiore, non si rifiuta mai”.
- Il caffè in celluloide più oculare… : “Il Boom”, (1963), di Vittorio De Sica, la facoltosa signora invita Alberto Sordi a prendere un caffè, e poi senza mezzi termini va al dunque : “Caffettino? Venderebbe un occhio?”.
- Il caffè in celluloide più nervoso : “No, grazie, il caffè mi rende nervoso” , (1982), di Lodovico Gasparini, in cui il giornalista Lello Arena urla alla collega Maddalena Crippa che gli offre un caffè: “No, grazie, il caffè mi rende nervoso. Molto nervoso!”
- Il caffè in celluloide più fulmineo : “Per qualche dollaro in più”, (1965), di Sergio Leone, in cui il cacciatore di taglie Clint Eastwood lascia cadere la tazza di caffè e fulmineamente fa fuori tre ricercati della banda di Gringo (Gianmaria Volonté).
- Il caffè in celluloide più rinnegato : “Il messaggio del Rinnegato” (“The Redhead and the Cowboy”), (1951), di Leslie Fenton,
- Il caffè in celluloide più essenziale : “Johnny Guitar” , (1954), di Nicholas Ray , “In fondo quello che serve ad un uomo è una tirata ed un caffè!”.
- Il caffè in celluloide più calmante : “Los Amigos” , (1968), di Icaro Cisneros , “Gli amici si sono un po’ eccitati, dategli un po’ di caffè!”.
- Il caffè in celluloide più corretto : “La Voglia matta”, (1962), di Luciano Salce, dove si serve un caffè abbondantemente corretto al whisky.
- Il caffè in celluloide più fantasmatico : “Culastrisce nobile veneziano”, (1976), di Flavio Mogherini, dove si sorbisce il caffè con un fantasma.
- Il caffè in celluloide più rifiutato : “I Tartassati”, (1959), di Steno, in cui la tributaria rifiuta perfino il caffè.
- Il caffè in celluloide più zuccherato : “I Quattro dell’Ave Maria”, (1968), di Giuseppe Colizzi
- Il caffè in celluloide più furtivo e ricattatorio : “Sua eccellenza si fermò a mangiare”, (1961) di Mario Mattoli, Totò dice a Ugo Tognazzi : “Come dice quel detto? Per prendere un caffè e tradire la moglie , c’è sempre tempo”.
- Il caffè in celluloide più tirchio : “Ladro Lui, Ladra Lei”, (1958), di Luigi Zampa in cui viene recuperata perfino la mancia per il caffè.
- Il caffè in celluloide più salato : “Viuuulentemente Mia”, (1982), di Carlo Vanzina, in cui Diego Abantuono, al risveglio sbaglia clamorosamente barattolo e mette sale nel caffè, al posto dello zucchero.
- Il caffè in celluloide più umido : “Totò, Peppino e… la Dolce Vita”, (1961), di Sergio Corbucci, geniale parodia della via Veneto de “La Dolce Vita”. in cui il danaroso donnaiolo Francesco Mulè si accompagna alla giovane ed avvenente Magda (Rosalba Neri), in cerca di emozioni stravaganti, e si fanno ospitare da Totò, nella sua casa completamente invasa dall’acqua e poi gli chiedono di fare il caffè, con una caffettiera napoletana di dimensioni “monstre”.
- Il caffè in celluloide più sospettato : Thrilling (1965), episodio “Il Vittimista”, di Ettore Scola, in cui il caffè, sospettato di contenere dannose pillolette, viene buttato nel water.
- Il caffè in celluloide più “Galeotto” : “Sedotta e Abbandonata”, (1964), di Pietro Germi, in cui il caffè della controra è galeotto per la seduzione della giovane illibata Stefania Sandrelli da parte del fedifrago Peppino (Aldo Puglisi), promesso sposo della sua sorella maggiore Matilde (Paola Biggio) .
- Il caffè in celluloide più spiegato : “Questi Fantasmi”, (1967), di Renato Castellani, in cui Sofia Loren Spiega a Vittorio Gassman come fare il caffè, usando le celeberrime parole di Eduardo De Filippo, dalla pièce/film originale, di cui questa versione è l’ennesimo remake.
- Il caffè in celluloide più assente : “Miseria e Nobiltà”, (1954), di Mario Mattoli, in cui Totò, con il suo coinquilino Enzo Turco, per sfuggire al padrone di casa che reclama l’affitto, si infila in casa della avvenente torinese del piano di sotto, mentre fa la colazione del mattino, la quale dice loro che i torinesi mettono il burro dappertutto, anche nel caffelatte, e Totò, con allusione alla loro povertà atavica e perniciosa, afferma : “noi nel caffellatte non ci mettiamo né il latte, né il caffè!”.
- Il caffè in celluloide più precoce : “Smith, un cowboy per gli indiani”, (1969), di Michael O’Herlihy, in cui si da un caffè ad un bambino.
- Il caffè in celluloide più superdotato : “Quelle Strane Occasioni” (1976), (episodio “Italian Superman” di Nanni Loy/Sergio Corbucci”, con Paolo Villaggio venditore di castagnaccio, italiano superdotato).
- Il caffè in celluloide più adulterino : “Quelle Strane Occasioni” (1976), (episodio “Il Cavalluccio Svedese” di Luigi Magni, con Nino Manfredi tentato alla avventura adulterina dalla prorompente ragazza svedese conosciuta da bambina)
- Il caffè in celluloide più incatenato… : “Catene” (’49) , di Raffaello Matarazzo, con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson.
- Il caffè in celluloide più marocchino : “Casablanca” (1942), di Michael Curtiz, servito dal capo del mercato nero di Casablanca, Sydney Greenstreet , ad Ingrid Berman ed a suo marito Paul Henreid.
- Il caffè in celluloide più leggero : “Un Dollaro d’Onore” (“Rio Bravo”), (1959), di Howard Hawks , il colloquio tra Stumpy, il vecchio brontolone per antonomasia impersonato dal mitico Walter Brennan, e John Wayne : “Se capiti all’albergo, prendi il caffè e lo zucchero, hai capito? / Joe ha protestato? / Lui ci deve solo provare , il suo caffè è acqua passata sopra i fondi!”. (il riferimento a Joe, è al prigioniero Joe Burdette, impersonato da Claude Akins)
- Il caffè in celluloide più accerchiante : “Venga a Prendere il Caffè da Noi”, (1970), di Alberto Lattuada, in cui il malcapitato Ugo Tognazzi, viene circuito ed accerchiato, con la complicità del caffè, dalle tre sorelle Tettamanzi , Francesca Romana Coluzzi, Milena Vukotic ed Angela Goodwin
- Il caffè in celluloide più cognac : “Totò Terzo Uomo”, (’51), di Mario Mattoli, in cui il caffè è più cognac che caffè.
- Il caffè in celluloide più emetico ed anti-sbornia : “Ombre Rosse” (“Stagecoach”), (1939), di John Ford in cui una quantità industriale di caffè serve al dottore sempre ubriaco (Doc Boone/Thomas Mitchell ) a smaltire la sbornia per occuparsi del parto di una delle passeggere della diligenza.
- Il caffè in celluloide più annusato : “Quando la moglie è in vacanza” (“The 7 years Itch”), (1955), di Billy Wilder, con Marilyn Monroe, in cui il caffè si percepisce dall’odore
- Il caffè in celluloide più giudiziario : “Assunta Spina”, (1948), di Mario Mattoli, in cui il caffè (che è l’alimento principale per la co-protagonista, la indimenticabile Titina De Filippo, la quale dice all’artista Epaminonda Pesce (Ugo d’Alessio): “Io campo di caffè”) viene servito al giudice Pietro Carloni durante l’udienza.
- Il caffè in celluloide più agitato : “Coffe and Cigarettes”, (2003), di Jim Jarmusch, in cui la magistrale interpretazione di Roberto Benigni, in coppia con Steven Wright, è la più esilarante ed efficace delle rappresentazioni dell’agitazione che un eccesso di consumo di caffè può dare
- Il caffè in celluloide più stregonesco : “Il Medico e Lo Stregone”, (1957), di Mario Monicelli
- Il caffè in celluloide più inquisitivo e tagliente : “La Donna che Visse Due Volte” (“Vertigo”), (1958) di Alfred Hitchcock, con il serrato colloquio tra Kim Novak e James Stewart: “Lei è molto inquisitivo con le sue domande! / Ma non intendevo essere scortese. / Infatti, è solo tagliente!”.
- Il caffè in celluloide più condiviso e compromettente : “Divorzio all’Italiana”, (1961), di Pietro Germi, con il caffè a tre, tra Il barone Cefalù, detto Fefè (Marcello Mastroianni), Rosalia (Daniela Rocca) e Carmelo Patanè (Leopoldo Trieste).
- Il caffè in celluloide più bevitore : “La Leggenda del Santo Bevitore”, (1988), di Ermanno Olmi, con il caffè corretto al rhum per il “Santo Bevitore” Rurger hauer
- Il caffè in celluloide più emigrante : “Bello, Onesto, Emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata”, (1971), di Luigi Zampa
- Il caffè in celluloide più scommettitore : “Via Castellana Bandiera” (2013), di Emma Dante, in cui mentre le due donne ostinate si affrontano in un duello rusticano dal sapore western, gli uomini della famiglia Calafiore, mentre sorbiscono il caffè, ne approfittano per organizzare un giro di scommesse su chi la spunterà delle due.
- Il caffè in celluloide più mitico : “Questi Fantasmi”, (1954) di Eduardo De Filippo, in cui Eduardo illustra, all’invisibile ed inudibile professore dirimpettaio di balcone, nel modo più sublime, i segreti per preparare un buon caffè con la classica caffettiera napoletana. Mitico, ed insuperabile!
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