TULIPANI DI SETA NERA 2021
SEZIONE CORTOMETRAGGI
Recensione di Catello Masullo
Custode di Pablo Arreba
Questo film parla di AMORE e di tutte le sue variabili. Gioca con le diverse sessualità ma dalla visione di due personaggi profondamente innamorati. Parla dei diversi modi di avere un partner, con i toni del realismo magico, per far riflettere sull’assunto che non esiste una sessualità “corretta” (ex eterosessualità) e altre scorrette. Tutte sono valide e ogni volta ne compaiono di nuove con nomi molto curiosi (greysexual, pansexual, polyamory, ecc.). Il film presenta l’omosessualità come se fosse l’eterosessualità o la sessualità più diffusa e “accettata”, un capovolgimento che ci induce a riflettere su temi molto importanti e profondi per la società di oggi. Lo fa con profonda ironia e gustosa rappresentazione. Con soli due, straordinari protagonisti, ed un unico luogo. Magistrale.
L’affitto di Antonio Miorin
La intensità e la densità del film è tutto nei due sorrisi delle protagoniste, Luisa Ranieri e Yuliya Mayarchuk. Così profondamente diversi. Un sorriso solare, soddisfatto e rassicurante quello della Mayarchuk, quando dice: “…io non ho mai avuto problemi, mai un aborto, a me sempre tutto bene, tutto naturale. Un sorriso amarissimo quello della Ranieri, quando le risponde: “naturale… io ho otto fecondazioni fallite e una gravidanza biochimica, niente di naturale!”. Ma è questione di un attimo. I due sguardi si incrociano ancora, e i due sorrisi diventano alla fine simili, quasi contagiati dai neuroni specchio. Sorrisi che sono ora di complicità e di solidarietà. Ad aprire uno squarcio di luce in un futuro più radioso per entrambe. Il 38enne di Scafati Antonio Miorin mette in scena con maestria lo script di deliziosa sensibilità femminile di Iole Masucci. Gioca sapientemente sull’equivoco del contratto in via di stipula, per traghettare lo spettatore verso il colpo di scena finale. Stellari le interpretazioni.
Learning to lose di Sergio Milan
Un turbinio di intense emozioni avvolgono lo spettatore in soli cinque minuti di capolavoro cinematografico. Una storia vera, che vede nel ruolo della nipote protagonista la vera ragazza che l’ha vissuta, Beatrix Melgares. Donando al film un senso di verità e di autenticità insuperabile. Sergio Milàn, che ha scritto e diretto, coglie l’essenza della trasmissione del sapere e del saper vivere, del sentimento e dell’amore disinteressato sublimato, che si trasmette dal nonno alla nipote. L’insegnamento supremo dell’arte di saper perdere, come strumento di crescita e di formazione. Bellissimo il respiro sincronizzato tra nipote e nonno che sta esalando i suoi ultimi, a testimoniare un legame indissolubile, un diapason all’unisono. Formidabile la lacrima di esergo finale di Beatrix, allo stesso tempo di dolore e di felicità.
Mi chiamavo Eva di Miriam Previati
Il film ha il merito di sollevare un tema che diventa ogni giorno che passa socialmente sempre più rilevante. Con rapide ed efficaci pennellate mette in luce con efficacia tutte le componenti essenziali del fenomeno: la comprensibile ingenuità nel credere che le immagini estorte con l’inganno possano restare nelle intimità falsamente promessa, la cinica, violenta, criminale premeditazione dell’ingannatore, lo stigma sociale che si fonda su pregiudizi atavici e che si manifesta con un bigottismo estremista che non concede nulla alla comprensione ed alla umana solidarietà. Il film denota un buon governo del mezzo espressivo, uno sguardo originale e promettenti capacità attoriali, oltre che autoriali, della autrice, regista, protagonista, montatrice, soggettista e sceneggiatrice Miriam Previati, ferrarese di origine, ma romana d’adozione.