Una festa del Papà sul grande schermo
Una festa del Papà sul grande schermo
The Father di Florian Zeller
di Armando Lostaglio
Ci sono film che giocano sul filo della memoria, che richiamano il nostro stare al mondo fra il divenire ed il recente passato, quello più friabile e, ancor più, quello più radicato benché adolescenziale. Accade ad Anthony, il The Father del film di Florian Zeller (2020), quarantenne regista e scrittore francese, già alle prese con grandi storie da Oscar. Ma Anthony porta proprio il nome di chi lo interpreta: Anthony Hopkins, l’ottantacinquenne leone che divora ogni scena a modo suo. Mite quanto basta, caparbio quanto basta per delineare una personalità non facile. Ha più di ottant’anni e non vuole badanti attorno a se, quando la figlia dovrà trasferirsi da tutt’altra parte (a Parigi per lavoro) e non vorrebbe lasciarlo solo. La memoria vacilla; un orologio (metafora del tempo che ci inghiotte) che perde e ritrova, forse lo nasconde apposta incolpando la badante. E’ il contatto con il mondo e con il tempo – che conserva memoria a fasi alterne – a darci la misura di quanto sia importante credere in ciò che siamo stati anche in quel crepuscolo prima del buio. Anthony non si rassegna a farsi portatore discontinuo di anamnesi e di coscienza. Vede intrusi aggirarsi per casa; sua figlia è andata già via o è ancora con lui? La badante, suo genero, chi saranno mai? Anche lo spettatore viene colto da dubbi ed incertezze, la sceneggiatura si muove su piani paralleli e persino elementi secondari possono rivelarsi essenziali nella linea narrativa. Seguiamo smarriti l’evolversi di qualcosa che pure sembra immobile. La regia mantiene con il fiato corto lo scadenziario di una esistenza che si rivede a ritroso: un anziano è un bambino che vorrebbe ristringere sua madre. E’ un cerchio che si chiude, e aggiunge una riflessione in più al senso della vita.
Ci sono film che giocano sul filo della memoria, che richiamano il nostro stare al mondo fra il divenire ed il recente passato, quello più friabile e, ancor più, quello più radicato benché adolescenziale. Accade ad Anthony, il The Father del film di Florian Zeller (2020), quarantenne regista e scrittore francese, già alle prese con grandi storie da Oscar. Ma Anthony porta proprio il nome di chi lo interpreta: Anthony Hopkins, l’ottantacinquenne leone che divora ogni scena a modo suo. Mite quanto basta, caparbio quanto basta per delineare una personalità non facile. Ha più di ottant’anni e non vuole badanti attorno a se, quando la figlia dovrà trasferirsi da tutt’altra parte (a Parigi per lavoro) e non vorrebbe lasciarlo solo. La memoria vacilla; un orologio (metafora del tempo che ci inghiotte) che perde e ritrova, forse lo nasconde apposta incolpando la badante. E’ il contatto con il mondo e con il tempo – che conserva memoria a fasi alterne – a darci la misura di quanto sia importante credere in ciò che siamo stati anche in quel crepuscolo prima del buio. Anthony non si rassegna a farsi portatore discontinuo di anamnesi e di coscienza. Vede intrusi aggirarsi per casa; sua figlia è andata già via o è ancora con lui? La badante, suo genero, chi saranno mai? Anche lo spettatore viene colto da dubbi ed incertezze, la sceneggiatura si muove su piani paralleli e persino elementi secondari possono rivelarsi essenziali nella linea narrativa. Seguiamo smarriti l’evolversi di qualcosa che pure sembra immobile. La regia mantiene con il fiato corto lo scadenziario di una esistenza che si rivede a ritroso: un anziano è un bambino che vorrebbe ristringere sua madre. E’ un cerchio che si chiude, e aggiunge una riflessione in più al senso della vita.