CANNES 2022, UN PALMARES CHE NON OSA E VA SUL SICURO
Maria Teresa Raffaele
Il Festival di Cannes di quest’anno, svoltosi dal 17 al 22 maggio 2022, oltre a celebrare la 75.ma edizione della manifestazione, nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe dovuto avere anche sapore di rinascita e segnare un nuovo inizio dopo 2 anni di pandemia con l’evento del 2020 annullato e quello del 2021 in tono minore. A questa volontà di rinascita allude il Manifesto con il Jim Carrey di Truman Show che punta lo sguardo in alto verso un cielo alla Magritte. In realtà le pellicole in concorso non sono sempre state memorabili e la stampa si è spesso divisa riservando più critiche che consensi, anche con espressioni dal tono severo come: Concorso inutilmente affollato, mediocre, segni d’involuzione, film incapaci di osare e mettere in discussione il linguaggio cinematografico, un Palmarès che ha voluto omaggiare il cinema d’autore e che invece è molto vicino al mainstream … In sintesi, si rimprovera al Cinema di voler recuperare pubblico e mercato con opere che parlano del mondo d’oggi con storie troppo esplicite che spiegano in dettaglio i problemi della realtà evitando ricerche formali, mentre invece sarebbe auspicabile parlare della contemporaneità con sperimentazioni senza ricorrere al sentimentalismo o alla lacrima facile o al teorema sociale.
Certo Cannes è sempre l’Evento Cinematografico capace di attrarre sia i migliori addetti ai lavori che le grandi star ed anche quest’anno non ha tradito la sua vocazione glamour con importanti presenze sul red carpet. Solo alcuni nomi: Sharon Stone, Julia Roberts, Anne Hathaway, Tilda Swinton, Helen Mirren, Andie MacDowell, Isabel Huppert, Marion Cotillard e tra gli attori, Tom Cruise, Tom Hanks, Viggo Mortensen, Anthony Hopkins, Javier Barden, Louis Garrel, Austin Butler. Ma il Festival non ha ignorato anche la realtà della guerra e ha dato spazio, oltre ad un intervento in video del Presidente ucraino, anche ad un documentario dal titolo Mariupolis 2, film-testamento, commovente ultimo saluto del regista-antropologo lituano Mantas Kvedaravicius, ucciso proprio a Mariupolis il 2 aprile u.s.
Importanti sono stati anche gli Eventi Speciali, tra i quali va segnalata la proiezione, presenziata da un sempre acclamato Tom Cruise, di Top Gun:Maverick di Joseph Kosinski, sequel del film cult del 1986 e la prima di Elvis di Baz Lurhmann, biopic dedicato al leggendario Re del Rock con Tom Hanks nella parte del suo impresario, evento che ha portato sulla Croisette anche i nostri Maneskin, autori di un brano della colonna sonora. E sempre tra gli Eventi Speciali, nella sezione Première va segnalato il successo di Esterno notte di Marco Bellocchio, una serie TV sul rapimento Moro, episodio cruciale dell’Italia Repubblicana, rivisto dal regista in chiave fantastica e visionaria, un racconto emotivo più che politico che guarda ai sentimenti (qualcuno ha scritto: lo spettatore ne uscirà turbato) e che vede come protagonista Fabrizio Gifuni.
Anche quest’anno il verdetto della Giuria, presieduta da Vincentt Lindon e composta da quattro registi e quattro attrici (tra le quali la nostra Jasmine Trinca, a Cannes oltre che come giurata anche con la sua prima regia con il film Marcel), ha evidenziato contrasti tra i giurati. Il Presidente della Giuria ha affermato di non amare le discussioni e gli scontri e ha definito la sua una Giuria riflessiva e combattiva con lo sguardo dell’infanzia e la visione degli adulti, ma il segno che la Giuria ha discusso molto è evidente, considerata l’assegnazione di ben quattro ex aequo che dimostrano, più che una malintesa pluralità, un’attribuzione di premi a maggioranza e non ad unanimità.
Il Premio della Giuria, infatti, è stato assegnato ex aequo a due film fortemente diversi. Uno particolare e sorprendente: Eo di Jerzy Skolimowski, protagonista un asino, (momento indimenticabile della premiazione l’elenco dei nomi degli asini che hanno interpretato Eo), film che alterna scelte realistiche a ribaltamenti della logica e a squarci poetici, e l’altro invece molto narrativo: Le otto montagne dei registi belgi Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen, una co-produzione italiana con protagonisti i nostri Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Il film, ispirato all’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, narra la storia di due amici uniti dalla passione per la montagna ma poi divisi dalla vita. “Volevamo fare un film che parlasse della vita in tutta la sua fragilità e tutta la sua forza. Le quattro stagioni della vita, che dobbiamo solo accettare, tutte queste montagne da attraversare …” ha commentato la co-regista Charlotte Vandermeersch, autrice di un film che vuole trasmettere, prima di ogni messaggio, sensazioni ed emozioni.
Ed anche il Grand Prix della Giuria è stato un ex aequo che, anche in questo caso, ha attribuito uguale validità a due film molto diversi: Stars At Noon di Claire Denis in cui la regista francese racconta storie di anime disperate in un noir tropicale ambientato in Nicaragua, film volutamente enigmatico e inerte dal punto di vista narrativo ma dalla fortissima atmosfera sensuale, accolto con plateali disapprovazioni dalla stampa, e Close, dramma adolescenziale, del giovane regista belga Lukas Dhont che ha attinto dalla sua vita nel raccontare quel breve momento quando si lascia l’infanzia e si entra nell’adolescenza. Film drammatico, tutto giocato sulle sfumature e sentimenti nascosti di una giovanile amicizia maschile, realizzato per alcuni con un’impronta da cinema d’autore troppo esibita.
A portarsi a casa la Palma d’oro del Festival di Cannes 2022 è stato lo svedese Ruben Östlund con il film The Triangle of Sadness: una satira disinibita e feroce sul mondo della moda. Protagonisti due modelli che alla fine della loro carriera si ritrovano bloccati su un’isola deserta per colpa di un naufragio che porterà a ribaltare il rapporto di forze tra le classi: Uno spietato affresco sarcastico sui misfatti del capitalismo dove le classi sociali si rovesciano, quasi un remake del famoso film della nostra Lina Wertmuller Travolti da un insolito destino … Ma per alcuni critici ha trionfato la risata facile e superficiale che probabilmente offrirà un qualche successo al botteghino ma cullerà lo spettatore con un’idea di cinema facile fatto di luoghi comuni e volgarità.
La Miglior Regia è andata invece al coreano Park Chan-wook per Decision to Leave, thriller sentimentale raffinatissimo e disorientante. Storia di un detective che vede in una vedova la possibile responsabile dello strano suicidio del marito, restando però catturato ed ossessionato dal fascino ambiguo della donna. Il film, mescolando realtà, fantasie e desideri, ribalta continuamente le prospettive ingarbugliando le sensazioni e le aspettative del pubblico. Forse con un compiacimento eccessivo, rischia di far diventare la continua spirale dei sospetti un gioco troppo fine a sé stesso.
La Palma come Migliore Attrice protagonista è andata a Amir Ebrahimi per la sua interpretazione nel film iraniano Holy Spider. La storia vede una determinata giornalista dare la caccia ad un serial killer di prostitute che crede di agire in nome di Allah. Il finale è a dir poco agghiacciante, soprattutto perché la pellicola s’ispira ad una storia vera e segna anche un riscatto personale per l’attrice travolta da uno scandalo sessuale che l’ha costretta, anche se vittima, ad espatriare in Francia.
ll premio come Miglior Attore è stato assegnato al coreano Song Kang-Ho, già star del film Parasite e qui protagonista di Broker del regista giapponese Kore-Eda Hirokazu. Il film che per alcuni critici avrebbe meritato la Palma d’Oro, è ambientato in Corea e tratta il delicatissimo tema della tratta dei bambini abbandonati e poi rivenduti come merce.
Il Premio creato per l’occasione, la Palma del 75esimo Anno, da alcuni considerato pletorico, è andato a Tari et Lokita dei fratelli Dardenne. Il film, che con dinamiche prevedibili ribadisce la cattiveria del mondo che respinge i più deboli, vuole proporre una lezione morale. Commenti discordanti: alcuni celebrano la sempre efficace semplicità dello sguardo sul reale dei Dardenne, altri definiscono l’opera come uno dei loro film meno riusciti in cui prevale una visione politica molto semplice e molto infantile.
Il Premio per la Migliore Sceneggiatura è andato a Boy From Heaven di Tarik Saleh, regista svedese di origini egiziane. Il film, a metà tra il thriller politico e il film di spionaggio, parla del complicato rapporto tra laicità e religione nei paesi arabi e porta sullo schermo la storia di un giovane studente sunnita che scopre le lotte di potere tra la lunga mano del potere politico e gli Imam.
Escludendo l’unica affermazione ufficiale al Gran Prix con il film Le otto montagne e la bellissima accoglienza riservata nella Sezione Quinzaine des Réalisateurs al film di apertura, Le vele scarlatte (L’Envol) di Pietro Marcello, tratto da un racconto russo che, oscillando tra atmosfere da neorealismo olmiano ed un leggiadro realismo magico, ha incantato per la capacità del nostro regista di far rivivere simbolicamente il passato con una inaudita espressività dei dettagli, l’Italia esce da questa edizione con un bilancio gramo. Eppure ha portato in concorso un ottimo film, Nostalgia di Mario Martone, che in proiezione ha registrato dieci minuti di applausi ed un’onda di affetto ed emozione. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea, con un Pierfrancesco Favino supercarismatico nell’interpretazione intimista del personaggio di Felice che torna al Rione Sanità dopo una vita vissuta al Cairo: una storia teneramente ancorata al desiderio di riconciliazione col passato e una poderosa immersione in una Napoli ancestrale. Il Rione Sanità, che Martone elegge a co-protagonista del film, è rappresentato come valore universale per raccontare tutti i Sud del mondo. La Sanità diventa un labirinto dentro cui smarrirsi, luogo geografico, ma anche luogo simbolico ed urticante. I personaggi di Martone sembrano usciti da una Tragedia Greca ed il coro è il Rione Sanità.
Un’altra interessante partecipazione italiana che ha ricevuto molti consensi ma non premi, è stata quella di Valeria Bruni Tedeschi con il suo vitalissimo film, Le Amandiers, una “tragicommedia” tra l’autobiografico e l’immaginario dedicata alla particolare Scuola di Teatro diretta dal regista sciamano Patrice Chereau, frequentata in gioventù dalla stessa regista.
Infine, piace segnalare la vittoria di un giovane studente italiano del Centro Sperimentale di Cinematografia, Valerio Ferrara, che ha vinto, con il suo cortometraggio intrigante e spiritoso dal titolo Il barbiere complottista, il Primo Premio alla Cine Fondation di Cannes, premio importante perché dedicato ai talenti del futuro,
Nostalgia di Mario Martone e il biopic Elvis di Baz Lurhmann sono i due film di Cannes che il Cinecircolo ha scelto d’inserire nella Programmazione della Stagione 2022-23.
Maria Teresa Raffaele