SHTTL (Recensione di Catello Masullo)

SHTTL (Recensione di Catello Masullo)

 

Directed by 

Ady Walter

Writing Credits (in alphabetical order)  

Ady Walter

Cast (in credits order)  

Moshe Lobel Mendele
Rest of cast listed alphabetically:
Kostiantyn Afanasiev Young comsomol
Vitaliia Barco Vita
Aleksandr Ivanov Soviet officer
Emily Karpel Beilke
Yurko Kritenko Szmulke
Antoine Millet
Markiian Miroshnychenko Young man
Philipp Mogilnitskiy Noach
Petro Ninovskyi
Kononenko Olena Alyona
Lili Rosen Zishe
Saul Rubinek
Valeria Shpak
Anisia Stasevich
Oleksandr Yeremenko Menachem

Produced by 

Olias Barco producer
Matt Brodlie executive producer
Aaron L. Gilbert executive producer
Eric Gozlan executive producer
Jonathan Kier executive producer
Jean-Charles Levy producer
Jean-Luc Olivier line producer
Vladyslav Riashyn producer (as Vlad Riashyn)
Grebenchikova Ryta producer
Amanda Sthers executive producer

Music by 

David Federmann

Casting By 

Tatyana Vladzimirskaya

Second Unit Director or Assistant Director 

Denis Shvets first assistant director

Sound Department 

Steven Ghouti Sound Supervisor / re-recording mixer
Oleksandr Gorbunov boom operator
Thomas Lefèvre sound editor
Olivier Ranquet sound editor
Victor Shcheglov foley artist
Aleksandr Titarenko sound recordist
Anatoliy Titarenko boom operator

Camera and Electrical Department 

Taras Miskiv Remote Camera Operator
William Oger Camera: Steadicam and Trinity operator
Rostislav Vasyliev gaffer

Editorial Department 

Dmitry Vasylenko colorist

Music Department 

Antoine Le Guern Executive music producer

Additional Crew 

Anna Konik production coordinator
Lili Rosen Cultural Consultant

SINOSSI: 1941: il giovane Mendele è entusiasta di lavorare nel cinema a Odessa, ma torna nel suo paese (shtetl, in yiddish) in Ucraina, al confine con la Polonia, dove il suo amore di sempre sta per sposare il figlio del Rabbino. E questo il giorno prima dell’invasione nazista. L’esordiente argentino Ady Walter usa il pianosequenza e il bianco e nero (anche se la continuità spaziotemporale è infranta da flashback a colori) come strumenti per calare lo spettatore dentro la realtà di un mondo ebraico sull’orlo della tragedia, tra ricostruzione filologica e allusione al presente. A parlare yiddish è un cast internazionale, tra cui Saul Rubinek (Gli spietati), che recita per la prima volta in questa lingua. Il villaggio è stato interamente ricostruito a sessanta chilometri da Kyiv, con l’intenzione di diventare, dopo le riprese, un museo a cielo aperto. La grafia del titolo è un omaggio al romanzo La sparizione di Georges Perec, dove scompare la lettera “e”, per alludere a un altro vuoto.

 

Note di regia: «La storia di SHTTL è stata pensata per essere narrata in un “flusso di coscienza”. A differenza di alcuni film girati con un solo piano sequenza. SHTTL non è in tempo reale, ma è composto da diversi piani sequenza montati insieme senza soluzione di continuità. La pellicola si basa su fatti storici, ma funziona come un simbolo (in movimento) della Shoah. In lingua yiddish “shtetl” significa “villaggio”. Allora perchè SHTTL? Nel 1969 Georges Perec, la cui madre morì ad Auschwitz, pubblicò “La scomparsa”, un romanzo in cui la lettera “E” non compare mai. Questa assenza segna una mancanza, uno spazio vuoto, una vertigine, una voragine aperta. SHTTL rende omaggio a questo libro eliminando la stessa lettera». «Ho avuto la fortuna che il mio produttore accettasse l’idea pazza di girare tutto il film in quella modalità. Tra le pellicole che hanno influenzato la mia carriera posso citare sicuramente un lungometraggio di Aleksandr Sokurovl’Arca Russa, che ho visto quando avevo 15 anni. Questo film è anche una dichiarazione d’amore verso il cinema. Il casting è stato molto lungo, il requisito fondamentale era che gli attori parlassero la lingua yiddish.».

 

Recensione di Catello Masullo: Chiariamo subito un aspetto tecnico che ha ingenerato qualche fraintendimento. Il film è stato presentato, anche alla Festa di Roma, come girato in un unico piano sequenza. Non che fosse impossibile farlo, ne sono stati fatti altri in passato. Ma la visione del film denuncia subito dei tagli nascosti di raccordo tra i vari piani sequenza. Quello più evidente nella notte dei tre fuggitivi, quando la camera viene rivolta verso il cielo e la notte stellata si trasforma in un battibaleno un una alba con il sole già alto, alla faccia della continuità temporale. L’ho fatto presente al regista, il quale mi ha precisato (confessato) che di tagli nascosti ce ne sono ben 47. Questo non toglie nulla alla qualità del film, ma chiarisce un equivoco, forse indotto dalla intenzione dei produttori/distributori di conferire maggiore curiosità da parte dei futuri spettatori. Si tratta di un film ambizioso e complesso. Relativamente ad alto budget. Per realizzarlo è stata messa in atto una operazione senza precedenti dallo scenografo Ivan Levchenko che ha ricostruito, ad una 60ina di km da Kiev in Ucraina, un vero shtetl, uno dei tipici insediamenti ebraici che prima dell’Olocausto punteggiavano l’Europa Orientale. E lo ha fatto nel modo più realistico possibile, in modo da immergere lo spettatore all’interno della scena, danzando come la steady-cam che insegue i protagonisti.  Sono stare acquistate vecchie case in modo che potessero essere trasportate e ricostruite, perché invecchiare il legno nuovo è sia più costoso sia tecnologicamente più difficile. Con il nuovo legname (diventato nel frattempo costosissimo) sono state costruite solo una scuola, una sinagoga e una biblioteca. Tutto il resto è stato trasportato e rimontato. Le vecchie case degli anni Trenta sono state portate dalle regioni di Zhytomyr e Chernigov. Quello che non era di legno è stato invece costruito in un super realistico polistirolo, come alcune abitazioni in mattoni e le lapidi del cimitero. Il grande orgoglio del team di scenografi è stata la sinagoga, dal momento che non esistono più sinagoghe di legno dipinto. Mentre la scuola e la biblioteca sono filmate solo all’esterno, cioè senza gli interni, la sinagoga viene ripresa sia all’esterno sia all’interno. I decoratori hanno fatto un capolavoro, arredandola con vecchi lampadari austro-ungarici originali – le cosiddette lampade a ragno – che aggiungono un’atmosfera speciale. Il villaggio così ricostruito, sarà lasciato come museo/testimonianza di un’epoca spazzata via dalla furia nazista. Girato in un luminoso bianco e nero, il film è un omaggio al cinema classico. Intriso di humour in stile squisitamente yiddish, è denso di significati e di memoria. Meritato l’ambito Premio del pubblico alla Festa di Roma.

Valutazione sintetica: 8