Cry Macho (recensione di Francesco Sirleto)
Cry Macho (o Ritorno a casa), di e con Clint Eastwood (2021) che, alla venerabilissima età di 91 anni, non smette ancora di stupire per la inesauribile vitalità e, nella fattispecie, per la sua capacità di commuovere e di intenerire. Non si può sicuramente parlare di un capolavoro, non si può neanche mettere questo film alla stessa altezza delle due precedenti opere (“Richard Jewell” e “The Mule – Il Corriere”), tuttavia si tratta di un buon prodotto, molto dignitoso, con una storia accattivante e, a tratti, commovente.
Sono vari e, nel complesso, classici i temi affrontati qui dal vecchio leone: il tema del viaggio in grado di cambiare una vita; il tema del rapporto conflittuale tra padri e figli; l’educazione-formazione di un adolescente che vive sulla strada sotto l’influsso di cattive compagnie e seguendo pessimi modelli di comportamento e, di conseuenza, in pericolo di trasformarsi in un delinquente abituale; il tema crepuscolare dello sbocciare di un tenero amore senile.
Tutti questi temi vengono trattati con garbo e delicatezza, quasi che il nostro prolifico regista-attore si sia ormai convertito all’uso di un linguaggio che prende sempre più le distanze dai modi di esprimersi rozzi e volgari che caratterizzano non tanto le sue pellicole, quanto la lingua cinematografica in generale, sempre più copia conforme del linguaggio quotidiano che abbonda e dilaga soprattutto nei social media.
La storia è abbastanza semplice e ambientata in una regione che spazia da Città del Messico ai confini con il Texas: l’ex star del rodeo Mike Milo (interpretato da Eastwood), invecchiato e intristito a causa del suo ritiro dalle attività di cow-boy, viene ingaggiato dal suo ex capo, per andare dal Texas a Città del Messico e riportare a casa il proprio figlio tredicenne, Rafo, la cui madre è una messicana ricca e dedita all’alcol e che non ama affatto il ragazzo, che considera un poco di buono. La storia entra così nel vivo quando Mike incontra Rafo e lo convince ad abbandonare la madre e la vita pericolosa che sta conducendo per raggiungere il padre che lo aspetta in Texas. Da qui in poi si sviluppano una serie di peripezie e di avventure che, come effetto più rilevante e “formativo”, avvicinano sul piano dei sentimenti l’uomo anziano e il ragazzo: l’anziano perchè vede nel ragazzo una reincarnazione del figlio che aveva perduto, molti anni prima, in un tragico incidente; il ragazzo perchè scorge nel vecchio cow boy un possibile modello positivo di uomo, un’esatta antitesi a quel modello di macho che, nell’ambiente fin qui frequentato, sembrava essere l’unico possibile. Tra l’altro il ragazzo Rafo ha contratto, in quell’ambiente così degradante, l’abitudine di frequentare i combattimenti di galli ed è anche proprietario di un campione di gallo al quale ha posto nome Macho.
La conclusione della storia è abbastanza sorprendente: dopo i molti pericoli affrontati insieme e proprio nel momento nel quale i due protagonisti sono riusciti a costruire un rapporto basato sulla reciproca intesa e solidarietà, nonché sullo scambio educativo padre-figlio, il ragazzo viene consegnato al padre vero e si rassegna così a vivere la propria vita in un ambiente completamene diverso da quello nel quale è finora cresciuto; l’anziano, al contrario, avendo incontrato in Messico l’amore nelle vesti e negli splendidi e amorevoli occhi di un’anziana vedova, proprietaria di una trattoria con la quale mantiene, lei nonna, quattro nipotine lasciate orfane dalla madre, decide di rimanere in Messico e di dar vita ad una nuova unione atta a vincere, con l’affetto reciproco, la sua senile solitudine e fragilità.
Una bella storia e, ancora una volta, un’ennesima prova di una smisurata bravura di attore e di regista da parte di un uomo che ha dedicato l’intera sua vita al cinema.
di Francesco Sirleto