Lettera aperta
Al Direttore del Corriere della Sera
Agli organi di stampa
Agli interessati,
ALLUVIONI CATASTROFICHE CAUSATE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI: BUFALA DEL TERZO MILLENNIO?
A cura di Catello Masullo
Gentile Direttore,
mi riferisco alla pagina 13 del Corriere della Sera di oggi, domenica 18 luglio 2021, interamente dedicata alle luttuose alluvioni che hanno investito la Germania, il Belgio ed i Paesi Bassi.
L’articolo principale, a firma di Irene Soave, dal titolo “Anatomia di un disastro”, mette in grande enfasi i dati di pioggia registrati nelle zone più colpite, che hanno raggiunto i 150 millimetri in un giorno a Colonia (valori appena inferiori in altre città interessate, circa 140 mm a Kall-Sisting, circa 130 mm a Dahlem-Schmidtheim, circa 125 mm a Schneifelforsthaus, circa 120 mm a Lissendorf). Questi dati, come praticamente sempre avviene nelle cronache giornalistiche, sono definiti “senza precedenti”.
Solo per dare qualche ordine di grandezza comparativo, in Italia, a Bolzaneto (GE), il 19 ottobre 1970 di millimetri di pioggia ne sono caduti 948, più di sei volte quanti ne sono caduti a Colonia nei giorni scorsi. E, sempre a Genova, e sempre in un periodo di 24 ore, il 4 novembre del 2011 ed il 4 ottobre 2010, i millimetri di pioggia sono stati circa 500, più di 3 volte di quelli registrati a Colonia.
Solo questo paragone dovrebbe dare, immediatamente, il segno del fatto che la connotazione di “senza precedenti”, così spesso ripetuta con una mal riposta generosità (se non vera e propria “imprudenza giornalistica”) non è correttamente applicabile, né alla specie, né in tante altre situazioni.
Quello che è peraltro evidente è che i danni ed i lutti dovuti ad alluvioni si ripetono e sono sempre maggiori negli ultimi decenni. Ma solo questa considerazione autorizza a stabilire un rapporto di causa ed effetto con i cambiamenti climatici? La scienza idrologica, che è la branca della ingegneria idraulica che studia i regimi pluviometri e la loro trasformazione in portate fluviali, da una risposta netta e senza ombra di dubbi: no!
Il crescente potere distruttivo delle alluvioni catastrofiche non è dovuto al cambiamento climatico, ma alla azione scellerata dell’uomo che ha dato luogo a fenomeni di urbanizzazione “selvaggia”. Rendendo impermeabili aree sempre più vaste del territorio naturale (con strade, fabbricati, parcheggi, ecc.). Che hanno alterato profondamente il regime idrologico dei corsi d’acqua naturali.
Per fare un esempio comprensibile a tutti, se sul terreno naturale di un bosco cadono cento litri di acqua di pioggia, nell’immediato dal bosco escono circa dieci litri di acqua. Dato che 90 litri in parte si infiltrano nel sottosuolo, in parte vengono trattenuti negli avvallamenti del terreno, in parte vengono trattenuti dalle piante, in parte evaporano, ecc. Se gli stessi cento litri di acqua cadono su un centro commerciale costruito dove una volta c’era il boschetto, avendo reso totalmente impermeabile quella area, nell’immediato producono 100 litri di scorrimento. I fiumi ed i corsi d’acqua che per millenni si erano formati ricevendo da quell’area solo 10 litri di acqua ogni cento caduti, se si vedono arrivare di un colpo 100 litri, dieci volte di più, vanno in crisi, straripano e fanno danni. Come avviene sempre più spesso in Italia ed in tutto il mondo urbanizzato.
Cosa fare quindi?
Serve rivolgersi alla scienza ed alle persone realmente competenti che indichino le strade giuste. Se si vuole realizzare un centro commerciale al posto del boschetto, occorre applicare i principi della “invarianza idraulica”. Realizzare cioè, assieme al centro commerciale, dei grandi vasconi che trattengano l’acqua di pioggia nel momento dello scroscio e lascino uscire solo i 10 litri di acqua sui cento caduti dal cielo nell’immediato, come avveniva prima della costruzione, facendo restare, per l’appunto, “invariato” il regime idrologico ante-operam. Consentendo di uscire i restanti 90 litri quando la pioggia intensa (e l’emergenza relativa) sia cessata. Per rispettare l’ambiente ed il regime idrologico dei millenni passati.
Se nei territori inondati di recente si fossero adottate politiche di prevenzione come la citata “invarianza idraulica”, con ogni probabilità, oggi non staremmo a piangere le vittime ed a contare i danni. Gli esperti di settore hanno valutato che per riparare i danni da catastrofe si spende in media dalle dieci alle quindici volte in più rispetto ai costi della prevenzione. Lo dice, d’altra parte, anche la saggezza popolare: “prevenire è meglio che curare”. È però altrettanto vero che dal punto di vista elettorale, portano più voti gli interventi emergenziali post catastrofe, che l’opera oscura della prevenzione fatta quando non se ne sentirebbe l’urgenza immediata.
Gentile Direttore,
sono però anche molto incuriosito nel cercare di capire, da giornalista (sono da oltre 15 anni direttore responsabile della testata giornalistica http://ilpareredellingegnere.altervista.org ) a giornalista, quale è il processo mentale che porta un giornalista a scegliere un “esperto” per commentare una notizia di catastrofe. La mia impressione al riguardo è che non si scelgano gli esperti che mostrano di avere la massima competenza specifica al riguardo, i quali, nella specie delle alluvioni, sono gli ingegneri idraulici specializzati in idrologia.
Nella pagina citata del Corriere della Sera di oggi, sotto l’articolo centrale, trova largo spazio la intervista, di Alessio Lana, a Silvio Gualdi, ricercatore capo del centro Euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.
Fino a poco tempo fa, ogni volta che si scriveva di alluvioni e dissesto idrogeologico, i giornali andavano a cercare un geologo da intervistare. Senza indagare sul fatto che i geologi nel loro corso di studi non hanno un solo esame di idraulica e men che meno di idrologia.
Adesso sono di moda i climatologi. Che pure non mi sembra abbiamo competenze specifiche di ingegneria idraulica e di idrologia.
Silvio Gualdi, nella richiamata intervista, afferma che “L’innalzamento delle temperature (ormai più di un grado celsius dal 1800) ha portato ad avere una atmosfera più calda che può quindi contenere più vapore acqueo…. sappiamo che con il cambiamento climatico questi tipo di eventi diventeranno sempre meno eccezionali, anzi saranno più intensi e più frequenti”.
Silvio Gualdi sembra non sapere, però, che chi studia il regime delle piogge per mestiere e da svariati decenni afferma, e dimostra con i numeri, esattamente il contrario.
Sarebbe bastato partecipare (o leggere gli atti) di un seminario specialistico, dal titolo significativo: “Il cambiamento climatico: le conseguenze idrologiche ed idrauliche”, organizzato lo scorso 17 giugno dalla Sezione Italia Centrale della Associazione Idrotecnica Italiana, congiuntamente con la Commissione Dissesto Idrogeologico dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, il più grande di Europa, Enti che raggruppano i massimi esperti nazionali in materia di ingegneria idraulica ed idrologia (e dei quali, entrambi, mi onoro di essere membro). Avrebbe potuto così apprendere che uno studio di dettaglio sulla serie storica di 150 eventi di piena registrati a Reggio Calabria dal 1600 ad oggi, di cui il 4% responsabili di danni alla popolazione, ha confermato che il trend crescente di danni è dovuto alla espansione edilizia e non all’andamento delle piogge. Queste ultime, infatti, risultano in leggera diminuzione. Un’altra ricerca su piogge e calamità idrogeologiche in Puglia dal 1877 al 2008 ha messo in evidenza una generale tendenza al calo della piovosità e dell’intensità di pioggia, mentre sono in aumento le calamità a causa dell’uso del territorio con crescente utilizzo di aree a non trascurabile pericolosità idrogeologica, dati riportati da Olga Petrucci et al. (2011). E che a Roma, dal 1941 al 2007 si sono verificati solo 4 nubifragi (cioè con precipitazione maggiore di 40 mm in mezz’ora, oppure 60 mm in un’ora, o 70 mm in due ore, o 80 mm in tre ore); negli anni: 1953 (99 mm in un’ora), 1972, 1986 e 1993. E la massima pioggia in 24 ore è 180 mm il 13 novembre 1946, dati riportati da F.Mangianti & F.Leone (2011). E, infine, che il Prof. Ing. Renato Morbidelli, Professore Associato di Costruzioni Idrauliche, Marittime ed Idrologia dell’Università degli Studi di Perugia, attraverso un’analisi compiuta ed oggettiva dei dati disponibili, ha dimostrato con grande dovizia di dati ed osservazioni sperimentali come:
– le linee di tendenza dei massimi annuali H24 delle precipitazioni, corrette opportunamente per tener conto della sottostima dei dati di periodi non recenti, rivelino un trend lievemente decrescente;
– gli eventi intensi di pioggia non evidenzino sostanziali modifiche né in frequenza né in intensità;
– lo spessore delle precipitazioni cumulate annue, in diretta correlazione con la disponibilità idrica, mostrino trend in significativa diminuzione diversamente dalle temperature il cui trend, in tutte le stazioni di osservazione, è caratterizzato da un significativo incremento.
In definitiva, attribuire le catastrofiche alluvioni ai cambiamenti climatici è una delle grandi “bufale”, “fake news”, del terzo millennio? Gli inoppugnabili e non interpretabili dati idrologici dicono di si.
Credo che un bravo giornalista dovrebbe sforzarsi a dire le cose come stanno, evitando di seguire le mode del sentito dire del momento.
E, magari, interrogarsi anche sulle periodiche affermazioni catastrofiste dell’IPCC (International Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite. Messe bene in luce dall’intervento del Prof. Alberto Prestininzi, già Professore Ordinario di Rischi Geologici e Direttore del Centro di Ricerche CERI dell’Università di Roma La Sapienza, nel richiamato seminario del 17 Giugno. Il quale ha infatti ricordato che a seguito dei comunicati IPCC, il quotidiano La Repubblica nel 1989 titolava a caratteri cubitali: “Abbiamo dieci anni per salvare la terra”. Nel 2007 questi anni erano diventati solo due. Nel 2007 il Corriere della Sera riferiva altro appello dell’IPCC: otto anni per salvare la terra. Ancora La Repubblica nel 2013: ci sono 10 anni per salvare la terra, il 99% degli scienziati conferma che il riscaldamento globale è dovuto alla attività dell’uomo. Ed ancora i dati IPCC sul sollevamento del livello del mare a causa del riscaldamento globale: nel 1977 era stimato un innalzamento di sei metri (sigh!), nel 1985 in 1,4 metri, nel 1990 in 0,3 metri, nel 1995 in 0,2 metri. Stime successive: non pervenute…
Quale azienda privata continuerebbe a finanziare un proprio centro studi che sbagliasse così clamorosamente le stime e le proiezioni per il futuro? È anche pur vero che il famoso economista Galbraith a chi gli chiedeva previsioni a lungo termine rispondesse più o meno così : “le previsioni sono una cosa molto difficile da fare, specialmente se riguardano il futuro… In ogni caso posso affermare che a lungo termine saremo tutti morti!”.