Alcune considerazioni su Massimo Troisi sull’occasione di un film recente
di Stefano Valente
Sull’occasione del film documentario biografico “Il mio amico Massimo”, di Alessandro Bencivenga (2022) con Lello Arena e Cloris Bosca (ed altri) vorremmo fare alcune considerazioni sulla comicità di Massimo Troisi. Il film è un commosso omaggio pieno di sincera devozione sulla figura straordinaria dell’attore e regista napoletano. La scelta di non comporre una serie di sketch, interviste e spezzoni di film alla fine contribuisce a dipingere un ritratto non scontato dell’artista. Quello che fin da subito emerge con una certa chiarezza è che Troisi non è un vero e proprio comico. La sua comicità tende sempre e consapevolmente a virare verso l’umorismo. Mentre il comico è – come insegna Luigi Pirandello – l’avvertimento del contrario, l’umoristico è il sentimento del contrario. La comicità è più un meccanismo a scatto mentre l’umorismo comporta una sospensione della comicità ed apre non solo al sentimento (dall’empatia al vero e proprio pathos) ma ad una riflessione sul senso dell’esistenza di stampo filosofico. Le famose pause di Troisi hanno proprio la funzione di sospendere i meccanismi più collaudati nel fare scattare la risata per cui i suoi tempi non sono propriamente dei tempi comici – anzi Troisi sembra giocare sempre sul tempo differendo continuamente il momento della battuta finale che dovrebbe fare scoppiare la risata. Egli è sempre contro-tempo senza essere mai fuori tempo. Troisi si smarca continuamente dalla posizione in cui lo vuol collocare l’interlocutore (che sia la spalla oppure un intervistatore) – basti osservare il modo con cui l’attore gioca con impagabile ironia sulla sua napoletanità smarcandosi continuamente dal luogo comune al fine di spiazzare lo spettatore che ride nel momento stesso in cui le sue aspettative vengono frustrate per cui egli non è riconfermato nelle sue stereotipe convinzioni ma è messo nelle condizioni di guardare da un punto di vista insolito ed inedito quella realtà che è comica ma solo in un primo momento. Questo smarcarsi dalla posizione in cui una idea tradizionale di comicità lo vuole confinare per saltare ad un livello più alto che abbiamo chiamato “umorismo” potrebbe essere chiamato anche il “pudore” nel presentarsi e nel discorrere che sempre caratterizza la voce ed i gesti e la postura del corpo e dello spirito di Troisi. Questa è la componente che vogliamo chiamare “femminile” della persona e della comicità dell’attore napoletano. Egli non si mette mai in scena, anzi tende a svincolarsi, a sottrarsi, a svicolare, a togliersi di scena. Egli sembra resistere (e si tratta di una resistenza etica ed estetica insieme) a chi voglia in qualche modo definirlo o ridurlo a cliché e a luogo comune. Il pudore nel recitare e in tutta la sua persona è il modo che Troisi ha di coniugare insieme umorismo e femminilità andando molto oltre gli schemi comici tradizionali. Egli non è il cliché di sé stesso. Se la comicità si basa generalmente su rovesciamenti che alla fine fine presuppongono e confermano le differenze sociali, economiche, culturali… il gesto e la voce di Troisi invece sospendono le opposizioni e i ribaltamenti della comicità più ovvia aprendo un campo di piccoli particolari che solo lui – in questo vero e raffinato maestro di ironia – è in grado di fare risaltare lì dove fino ad un momento prima non erano nemmeno intravisti. Napoleone cade improvvisamente scivolando su una buccia di banana e subito scatta la risata e tuttavia però dopo la risata tutti tornano ad ammirare la figura imponente del grande condottiero. Tutto torna come prima. Dopo uno sketch di Troisi invece si guarda il mondo con uno sguardo nuovo: il suo umorismo e la sua femminilità (con questo non voglio affatto dire: effeminatezza; penso piuttosto a quella che con Lacan potremmo chiamare “posizione femminile”) contribuiscono ad indebolire le opposizioni su cui si gioca invece l’effetto comico. Tale indebolimento dei meccanismi comici per far emergere particolari insospettati – e che a volte arriva fino alla svogliatezza e alla pigrizia – ha l’effetto benefico di liberarci da un super-io spesse volte troppo sadico che è capace di imbrigliare i nostri sentimenti mortificandoli semplicemente perché non adeguati ai modelli che abbiamo introiettato. Nel caso di Troisi abbiamo parlato di femminilità nel senso preciso in cui Freud si spingeva a dire che le donne non hanno super-io. Poi abbiamo parlato sempre in riferimento all’attore napoletano di umorismo anche qui nel senso preciso per cui Freud parla di un padre benedicente che invece di minacciare punizioni orrende è pronto a chiudere un occhio e a perdonare. In altri termini il tratto umoristico e femminile della comicità di Troisi ne fa un unicum e transustazia la comicità in vera e propria poesia. (Per quanto riguarda il nesso tra umorismo, posizione femminile e padre benedicente rimandiamo agli studi dello psicoanalista Michele Giacinto Bianchi).
STEFANO VALENTE