IL SIGNORE DELLE FORMICHE
film di Gianni Amelio (2022), con Luigi Lo Cascio, Elio Germano, Leonardo Maltese, Sara Serraiocco, Anna Caterina Antonacci, Rita Bosello, Davide Vecchi, Maria Caleffi.
recensione di Francesco Sirleto
Visto ieri sera, al cinema Caravaggio, con gli amici del Cinecircolo romano.
Una storia vera, il cui titolo poteva anche essere sostituito con IL CASO BRAIBANTI, uno dei più clamorosi e vergognosi casi giudiziari (fine anni sessanta – inizio anni settanta) che misero in luce, agli occhi del mondo, l’arretratezza della nostra legislazione penale, il bigottismo ancora diffuso e imperante in un’opinione pubblica fortemente permeata di omofobia, sospettosa di qualsiasi forma di libertà individuale che oltrepassasse determinati e ipocriti limiti imposti dalla tradizione perbenistica cattolico-borghese; un caso, infine, sul quale venne stesa per troppo tempo una cortina di silenzio, un silenzio che isolò dagli stessi ambienti culturali il malcapitato protagonista, Aldo Braibanti, uno dei più raffinati intellettuali italiani del dopoguerra e che, se non finì massacrato come Pasolini all’Idroscalo, terminò la sua vita in estrema miseria nel 2014, a 92 anni.
Gianni Amelio, uno dei migliori registi “civili” (nel senso che affronta, nelle sue pellicole, questioni che riguardano il livello di civiltà o di inciviltà che contraddistingue la società italiana: l’immigrazione, le diseguaglianze, la criminalità, la corruzione nell’ambito della vita politica), ha ricostruito il caso con la massima aderenza ai fatti, ai personaggi, alla situazione storica, al livello culturale del tempo e ai gravi problemi che contrassegnavano il sistema giudiziario in quella convulsa fase storica.
Buona parte del film è infatti dedicata al processo che subì l’intellettuale, trascinato in prigione e sul banco degli imputati sotto l’accusa di plagio, un reato introdotto nel codice fascista di Alfredo Rocco per mascherare procedimenti di altra inconfessabile natura, come ad esempio quelli contro gli omosessuali.
Un reato che ancora persisteva nell’Italia repubblicana insieme a tutto il codice penale fascista, e che fu abolito dalla Corte Costituzionale soltanto nel 1981.
Con quel processo, istruito su denuncia della famiglia del compagno di Braibanti (un giovane studente di medicina, amante dell’arte e del teatro e innamorato profondamente del filosofo piacentino), si volevano colpire anche le convinzioni filosofiche di Braibanti, improntate su un marxismo libertario privo di legami con i partiti della sinistra storica (Braibanti era uscito dal PCI nel 1956, dopo essere stato prima un valoroso partigiano e poi un dirigente locale del partito), un marxismo intriso di radicalismo. A difesa di Braibanti si schierarono alcuni famosi intellettuali (Pasolini, Moravia, Umberto Eco, Carmelo Bene), Pannella e il piccolissimo partito radicale, l’organo del PCI, L’Unità, che dovette scontrarsi con l’elevato tasso di perbenismo ancora diffuso all’interno del partito, quel partito che alcuni anni prima (nel 1949) aveva espulso Pasolini “per indegnità morale”. Quel processo fu qualcosa di grottesco: la pubblica accusa non esitò a ricorrere ad argomentazioni prive di carattere scientifico ma che sembravano ricalcate da requisitorie e sentenze della Santa Inquisizione romana. Un caso giudiziario, infine, che fece fare alla civiltà giuridica del nostro Paese un terribile tuffo nel passato.
Il film di Amelio ricostruisce con grande scrupolo storiografico e filologico quella fase storica ma, ovviamente, non trascura (ma anzi, accentua) la descrizione psicologica della personalità dei protagonisti della complessa vicenda, a partire dallo stesso Braibanti, interpretato con sensibilità e intelligenza da un Luigi Lo Cascio in ottima forma, ritornato finalmente a ricoprire un ruolo degno delle sue enormi doti attoriali. Molto bravo anche Elio Germano, nei panni del giornalista de L’Unità Ennio Scribani, uno di coloro che non ebbero timori ad affrontare il conformismo e l’acquiescenza dei grandi organi di stampa “indipendenti” al fine di mettere in ridicolo il grottesco atteggiamento del pubblico ministero e del Presidente del Tribunale. Vorrei però sottolineare la bellissima interpretazione di Leonardo Maltese (nei panni di Ettore Tagliaferri, ma in realtà si chiamava Giovanni Sanfratello, il compagno di Braibanti, che fu rinchiuso in manicomio per alcuni anni dalla sua famiglia), per la prima volta davanti alla cinepresa; molto brave ed efficaci anche le giovani attrici Sara Serraiocco e Anna Caterina Antonacci. Il film si avvale anche di una pregevole colonna sonora di Nicola Piovani e di una splendida e malinconica fotografia di Luan Amelio.