Che cosa aspettarsi quando quando si aspetta (recensione di Riccardo Rosati)
Titolo originale: What to Expect When You’re Expecting
Genere: Commedia
Nazione: USA
Anno di produzione: 2012
Data di uscita al cinema: 07/09/2012
Durata: 110′
Regia: Kirk Jones
Interpreti: Cameron Diaz, Jennifer Lopez, Elizabeth Banks, Chace Crawford, Brooklyn Decker, Anna Kendrick, Matthew Morrison, Dennis Quaid
Ispirato all’omonimo libro di Heidi Murkoff – costantemente presente nella classifica dei bestseller del quotidiano New York Times – che ha venduto più di 35 milioni di copie in tutto il mondo, Che cosa aspettarsi quando si aspetta è una commedia spesso e volentieri dai tratti “piccanti”, nella quale si parla di cinque coppie le cui vite vengono sconvolte dalle problematiche legate al diventare genitori.
Persone celebri e meno, coppie sposate e semplici conviventi, giovani alla ricerca di una identità e personaggi già un po’ attempati; tutti sperano di trovare la “formula magica” su come si affronta la nascita di un figlio. Peccato che scopriranno dopo poco tempo che questa proprio non esiste.
Diretto dal regista inglese Kirk Jones, che dopo il buon Svegliati Ned (1998) ripiega su questa commediola, formalmente ben fatta, ma che regala davvero poco al pubblico, se non qualche momento riuscito di una comicità intrisa di riferimenti sessuali, mai però volgarmente espliciti; in alcuni casi i dialoghi sono anche divertenti, specialmente grazie a questo “umorismo sexy”.
Il film si apre facendo il verso a Ballando con le Stelle (versione americana, naturalmente) e prendendo lo stesso programma come spunto per costruire una delle proprie sottotrame. Negli ultimissimi anni sembrano andare molto queste commedie dalle storyline multiple che si intrecciano verso la fine. Ciononostante, non basta il filo conduttore della genitorialità a creare il piacere di una narrazione corale: le varie vicende risultano per lo più isolate, come se si stesse guardando un film a episodi.
Il problema incontrato dagli autori è stato l’adattamento di quello che è in fin dei conti un manuale sulla gravidanza e questioni affini, a un film per il grande schermo. Appena si riaccendono le luci in sala, appare chiaro che l’esperimento non è riuscito. Difatti, il vero punto debole di questo prodotto è nella sceneggiatura, la quale risulta priva di fantasia. Questo genere di commedie romantiche americane apparse negli ultimi 7-8 anni hanno in verità un loro pubblico e un particolare appeal. Nessuno chiede a un film del genere né di essere sperimentale, tantomeno di sorprendere lo spettatore con degli imprevedibili colpi di scena. Ciò che attrae in queste commedie è essenzialmente la capacità che queste storie hanno di regalare una ora e mezza o poco più di svago costruttivo a chi le guarda, dove alla risata si mischia il sentimento – in tempi tanto cupi e cinici ogni tanto ci vuole – senza però mai scadere nella mortale ripetitività e sovente stupidità dei tanti omologhi di stampo bollywoodiano. La conditio sine qua non per la riuscita di un film del genere risiede sia nella scelta degli attori che nel proporre dei personaggi accattivanti. Se, come abbiamo potuto vedere, il cast non manca certo di ottimi elementi, allora dobbiamo convenire che la sceneggiatura non è riuscita a mettere gli interpreti nella condizione di dare il meglio.
Concludendo, quello che lascia perplessi, e non lo si sta affermando attraverso l’ottica del critico, bensì del semplice e rispettabilissimo spettatore, è il clima generale di questa storia, abbastanza piatto e insipido, senza guizzi di alcun tipo. L’unico aspetto interessante del film lo troviamo nella scelta di mostrare la gravidanza sotto tutti i punti di vista: chi il bambino lo perde; chi non può averne e fa pratiche di adozione; chi ha la fortuna di partorire senza dolore e chi invece fa della gravidanza una vera e propria ossessione. Malgrado ciò, il destino di Che cosa aspettarsi quando quando si aspetta sarà con buona probabilità simile a quello di tante altre commedie poco riuscite prodotte a Hollywood, le quali vengono presto dimenticate dal pubblico e – questa è forse la cosa più grave – la cui visione alla fine non vale davvero i soldi del biglietto.
Riccardo Rosati