Lo Hobbit e Il signore degli anelli: dalla pagina allo schermo
di Riccardo Rosati
Il rapporto tra cinema e letteratura è da sempre un argomento estremamente suggestivo, nonché dibattuto. Malgrado negli ultimi anni, specialmente in ambito accademico, sia in parte scemata l’attenzione verso questa tematica, essa continua lo stesso a generare ricerche e pubblicazioni tra le più variegate.
Da tempo ormai sosteniamo la necessità di distinguere tra versione, ovvero la ripresa totale di una opera letteraria da parte di un film, e trasposizione cinematografica, dove è presente solo l’ispirazione derivata da un testo scritto. Trattasi di un tema complesso, dunque impossibile da affrontare in così breve spazio[1]. Possiamo solo dire che le pellicole dirette da Peter Jackson rientrano chiaramente nella prima categoria; mentre nella seconda possiamo trovare capolavori assoluti come Il pianeta proibito (1956) di Fred McLeod Wilcox e Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola[2].
Per prima cosa, va fatto un plauso al regista neozelandese per il coraggio mostrato nel confrontarsi con un colosso come J. R. R. Tolkien, nonché per la eccellente qualità della sua interpretazione dell’opera del maestro inglese. A dire il vero, quello che a buona ragione viene considerato il più grande scrittore fantasy di sempre ha beneficiato anche in una altra occasione di una ottima ripresa cinematografica, ci riferiamo al troppo spesso dimenticato e sperimentale lungometraggio animato di Ralph Bakshi del 1978 e che siamo convinti sia servito non poco da ispirazione per lo stesso Jackson.
Nella trilogia de Il signore degli anelli (LOR) troviamo una discreta fedeltà al testo scritto e, per quanto possibile, una ottima ripresa delle atmosfere e del significato stesso della opera letteraria. Ne Lo Hobbit, malgrado la pur sempre eccellente qualità filmica, Jackson è stato costretto a inserire alcuni elementi esterni alla storia, forse addirittura esagerando. Difatti, se la celeberrima Trilogia dell’Anello per lunghezza e complessità si è prestata bene a un fluviale adattamento per il cinema, il romanzo che narra le avventure di Bilbo Baggins difficilmente potrà fornire abbastanza materiale per questa annunciata seconda trilogia. È vero che gli autori hanno saggiamente attinto al cospicuo gruppo di note[3] che lo stesso Tolkien ha redatto sulla stesura de Lo Hobbit, tuttavia forse queste non saranno sufficienti, poiché per quanto possano essere dettagliate, delle note non possono rimpiazzare le atmosfere di un romanzo vero e proprio. Inoltre, ravvisiamo anche una altra problematica che non è invece presente nelle pellicole dedicate al LOR, sarebbe a dire che mentre qui Jackson ripropone magistralmente i toni e le inquietudini di una “fiaba per adulti”, intrisa di valori tradizionali, con al centro l’epica lotta tra il Bene e il Male, ne Lo Hobbit egli forza un po’ la mano, imponendo a questa bellissima storia per adolescenti alcune atmosfere simili a quelle del LOR che ne alterano in parte la vera natura. Infatti, Lo Hobbit è sì una storia avventurosa e complessa, ma pur sempre una fiaba, anche se in essa sono già presenti molte delle tematiche che saranno alla base della successiva trilogia. Con questo non intendiamo affermare che il regista abbia in qualche modo stravolto l’opera tolkieniana, anzi, egli ne è un intelligente interprete, e le aggiunte o cambiamenti da lui introdotti sono di grande interesse, specialmente dal punto di vista filmico.
Come si può vedere anche dalla versione cinematografica, ne Lo Hobbit il dialogo riveste forse più importanza dell’azione, che è per converso una delle caratteristiche principali del LOR, non presentando quella successione di scontri e battaglie campali rese da Tolkien con un linguaggio che ha fatto scuola; tra queste, citiamo il meraviglioso utilizzo della lingua inglese nel capitolo intitolato: Il ponte di Khazad-Dûm[4]. Tuttavia, riteniamo che Lo Hobbit si presti comunque bene al linguaggio della Settima Arte, benché esso conceda meno spazio al “grandioso” rispetto al LOR, narrando vicende dai toni più intimistici.
Tirando le somme del discorso, in questa sua ultima pellicola, Jackson ha avuto un compito più difficile dei precedenti e nei successivi episodi sarà con molta probabilità costretto ad aggiungere degli elementi non presenti nel testo originale. Ciò malgrado, siamo convinti, come del resto è avvenuto in questo primo episodio cinematografico de Lo Hobbit, che egli saprà inserire delle “aggiunte” con la sensibilità che ha sinora mostrato verso l’opera tolkieniana.
Riccardo Rosati
[1] Su questa tematica, cfr. Riccardo Rosati: La trasposizione cinematografica di Heart of Darkness, Brescia, Starrylink, 2004.
[2] Il primo è un film di fantascienza liberamente ispirato da La tempesta (ca. 1610 – 11) di William Shakespeare, mentre il secondo traspone nel contesto della Guerra del Vietnam un caposaldo della letteratura in lingua inglese come Cuore di tenebra (1899 – 1902) di Joseph Conrad.
[3] Per l’esattezza, Tolkien ha pubblicato 125 pagine di note.
[4] Vedasi, Riccardo Rosati: ‘Alcune riflessioni sul linguaggio di Tolkien ne Il signore degli anelli‘, Antarès, 3, 2012, 32-35. L’articolo è scaricabile online a questo indirizzo: