L’invenzione di Morel, recensione di Riccardo Rosati

 

L’invenzione di Morel

 

Genere: Fantascienza

Nazione: Italia

Anno di produzione: 1974

Durata: 110′

Regia: Emidio Greco

Interpreti: John Steiner, Giulio Brogi, Tina Karina, Anna Karina, Valeria Sabel

Voto: 3

Premi: Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes nel 1974

 

Tratto dal romanzo dell’argentino Adolfo Bioy Casares, pubblicato nel 1940, il film mostra un ergastolano in fuga approdare su di una isola apparentemente deserta. Costui scopre ben presto che in quel luogo che sembrava disabitato vi sono delle stravaganti architetture. Nei giorni seguenti, con sua grande sorpresa, vede che l’isola in realtà non è affatto disabitata, bensì frequentata da personaggi che, vestiti con eleganti abiti da sera un po’ anacronistici, vagano in giro, discutendo amabilmente. Fattosi coraggio, decide di palesarsi a Faustine: una bellissima donna che prende ogni giorno il sole in disparte dagli altri. Il tentativo di contatto sarà vano, perché la  donna ignora il fuggitivo e sembra addirittura non vederlo. Con grande stupore egli si rende conto che anche tutte le altre persone non solo ignorano la sua presenza, ma ciclicamente ripetono gli stessi gesti, le stesse frasi e comportamenti.

 

Girato sulle coste maltesi, il film che segnò il debutto alla regia del recentemente scomparso Emidio Greco si attesta come un’opera abbastanza colta, benché non priva di alcuni difetti. Il tema principale della storia è in fondo antico quanto il mondo civilizzato: il desiderio dell’essere umano di sottrarsi alla morte a ogni costo, persino per mezzo della riproduzione della vita in forma illusoria. Ciò introduce uno scontato, ma inevitabile in questo caso, dualismo tra realtà e finzione. L’opera di Greco è una cinica celebrazione dell’effimero, nonché dell’innata superbia dell’uomo che anela a rendersi immortale, mantenendo per giunta sembianze giovani. Ragion per cui, l’essere umano non è certo celebrato come, ad esempio, i venerati immortali del Taoismo Esoterico, bensì criticato quale prodotto di un Occidente intriso di sterile egotismo e incapace di rapportarsi con concetti fondamentali per qualsivoglia civiltà, quali l’esperienza e il passato.

 

La pellicola del regista italiano spicca per l’ottimo utilizzo delle  scenografie, in buona parte vere, creando un suggestivo contrasto tra le atmosfere e i costumi in stile anni ’20 dei protagonisti e le architetture vicine a un gusto razionalista. Il tutto è accompagnato dai  cosiddetti suoni acusmatici, dunque esistenti nel piano della narrazione, ma la cui fonte è celata, nonché dalle musiche di un giovanissimo e futuro premio oscar, Nicola Piovani.

 

In apertura abbiamo parlato di questa pellicola come di una operazione almeno in parte colta. Infatti, in un contesto che ricorda chiaramente quelli delle opere dal tratto onirico tipiche di Jorge Luis Borges (lui e Casares erano amici), incontriamo vari riferimenti letterari: il naufrago e l’isola misteriosa che nasconde un terribile segreto. Questi rimandano a molti classici della letteratura e del cinema, tanto per citarne due, L’isola del dottor Moreau di H. G. Wells (1896) e la cervellotica serie televisiva Lost (2004 – 2010). Rimandi li ritroviamo anche da un punto di vista prettamente registico, visto che Greco gira con uno stile vicino a quello del Michelangelo Antonioni de L’avventura (1960), film in cui regna allo stesso modo la incomunicabilità in un ambiente borghese.

 

In conclusione, la pellicola di Greco, che potremmo definire di fantascienza concettuale – un genere che ha il suo capolavoro indiscusso in 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick – ambisce, senza riuscirvi, a riproporre la stessa straniante riflessione dell’Andrej Tarkovskij di Solaris (1972). Storie di questo tipo sono  ben lontane dalla Scuola Anglosassone, molto più incline a suggestionare lo spettatore col sense of wonderL’invenzione di Morel non è comunque un’opera priva di spunti interessanti, malgrado sia fortemente penalizzata dalla prima mezz’ora, durante la quale non troviamo nemmeno un dialogo, con una narrazione che risulta essere noiosa quasi in modo insopportabile.

 

Riccardo Rosati

 

 

 

Il film mostra un ergastolano in fugga approdare su di una isola apparentemente deserta. Costui scopre ben presto che in quel luogo che sembrava disabitato vi sono delle stravaganti architetture. Nei giorni seguenti, con sua grande sorpresa, vede che l’isola in realtà non è affatto disabitata, bensì frequentata da personaggi che, vestiti con eleganti abiti da sera un po’ anacronistici, vagano in giro, discutendo amabilmente. Fattosi coraggio, decide di palesarsi a Faustine: una bellissima donna che prende ogni giorno il sole in disparte dagli altri. Il tentativo di contatto sarà vano, perché la  donna ignora il fuggitivo e sembra addirittura non vederlo.

 

La Ripley’s Home Video ripropone un piccolo film culto degli anni ’70, che andrebbe fatto conoscere agli amanti del fantastico delle ultime generazioni.

La pellicola di Greco, che potremmo definire di fantascienza concettuale – un genere che ha il suo capolavoro indiscusso in 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick – ambisce, senza riuscirvi, a riproporre la stessa straniante riflessione dell’Andrej Tarkovskij di Solaris (1972). Storie di questo tipo sono ben lontane dalla Scuola Anglosassone, molto più incline a suggestionare lo spettatore col sense of wonderL’invenzione di Morel non è comunque un’opera priva di spunti interessanti, malgrado sia fortemente penalizzata dalla prima mezz’ora, durante la quale non troviamo nemmeno un dialogo, con una narrazione che risulta essere noiosa quasi in modo insopportabile.

Negli extra troviamo una interessantissima intervista al regista, dove egli spiega numerosi dettagli e retroscena, essenziali per avere un pieno apprezzamento di questa opera, come quando afferma che per certi versi il suo film rappresenta forse il primo tentativo di messa in scena di una “realtà virtuale” al cinema.

Riccardo Rosati