“Amarcord” di Federico Fellini, a cura di Armando Lostaglio
Ricorrono 50 anni dalla sua uscita; colpì il nostro immaginario
adolescenziale, lo abbiamo portato sempre con noi quale film “ideale”
della nostra formazione, un libro di storia proiettato sullo schermo e
dentro di noi. Adesso rappresenta una “rimpatriata mentale”, un “come
eravamo” (anche questo titolo uscì in quel lontano ’73) e come siamo
adesso… La tabaccaia tuttatette resterà l’inconfondibile icona di una
adolescenza consumata fra lenzuola solitarie e sogni mai paghi. Il nonno
che si perde nelle nebbie più poetiche che mai. Il babbo irascibile, la
mamma onnicomprensiva. Il fascismo a grandi lettere, con lo zio complice
e subdolo maleodorante di olio di ricino; e la Gradisca che a noi non ci
gradiva. Un inventario di persone colte e giuste da lui stesso disegnate
come un fumetto, e tutti a vedere il grande Rex orgoglio italico che
attraversa l’Adriatico. La neve e i raduni del duce. Rimini non è solo
sua, è il mondo concentrato in un microcosmo, riflesso negli occhi vispi
di un adolescente dentro e fuori dal suo tempo. Volpina l’abbiamo
incontrata nelle sere di plenilunio o fra stanchi muratori di un
cantiere assolato. La fisarmonica triste sulle note finali di Nino Rota
mentre Gradisca si sposerà. E mentre ci rimarrà dentro quel tempo
dell’incertezza.
Fellini resterà l’effige di un libro mai scritto, o forse aperto e mai
concluso, l’amarcord di ciascun sognatore.
Armando Lostaglio