Uscirà in sala dal 27 settembre il documentario “The Years We Have Been Nowhere”, un film sulle deportazioni di oggi per dare voce a tutte le famiglie che vengono sperate e rispedite nei paesi di origine (quindi, condannate), ideato dall’attivista, scrittore e regista Lucio Cascavilla e dal regista e produttore Mauro Piacentini.
L’opera, prodotta da Survivors Fighters Production e Mauzedao Production, è stata girata in Africa (Sierra Leone), e vede la partecipazione di Mike Duff (videomaker australiano con oltre 15 anni di carriera e collaborazioni con testate internazionali come BBC, ABC e Al Jazeera), Olivia Godding (modella, attrice, e imprenditrice di successo a Freetown, che compare nelle vesti di testimone nel documentario, in quanto migrante), Nadia Rubano (video editor), Roberto Sommella (video-editor), Nina Krajcinovic (giornalista della testata slovena DELO, specializzata in tematiche socioculturali), Markadams Kamara (emigrato dalla Sierra Leone negli anni Novanta, installato in Europa per essere deportato nuovamente nel suo paese d’origine, dove si è dedicato all’attività teatrale per occuparsi adesso di contabilità), Abdulay Daramy ( emigrato in Europa e deportato in Sierra Leone, dove è diventato un’attivista), Antonio Rignanese (Digital Strategist) e Nino Corica (agente specializzato in comunicazione per la Commissione Europea a Bruxelles, collabora al progetto come sceneggiatore, traduttore e Communication Strategist).
Il filo conduttore del film, sono le storie di Sulemain, Fatima Kamakuye e Patrick che hanno lasciato la Sierra Leone in cerca di un futuro migliore, riuscendo a costruirsi delle nuove vite e delle famiglie in Europa e negli Stati Uniti. Ma, a causa di problematiche dal carattere burocratico ed alcune infrazioni amministrative, vengono condannati e strappati alle loro famiglie per essere rispediti nel paese d’origine, dove ormai hanno perso i contatti con amici e familiari di una volta…
The Years We Have Been Nowhere è un grido di dolore e di denuncia, un progetto che vuole dare voce ad una disperazione che, troppo spesso, rimane sorda ai più.
“Perché – spiegano gli autori – opporsi alle deportazioni è impossibile; ma opporsi alla brutalità, permettendo agli uomini e alle donne deportati di mantenere la propria dignità, è civiltà”.