Biutiful, recensione di Riccardo Rosati
Genere: drammatico
Nazione: Messico/Spagna
Anno produzione: 2010
Durata: 138’
Regia: Alejandro González Iñárritu
Cast: Javier Bardem, Maricel Álvarez, Eduard Fernández, Diaryatou Daff, Cheng Tai Sheng, Luo Jin: Liwei
Produzione: Alejandro González Iñárritu, Guillermo del Toro, Alfonso Cuarón, Jon Kilik, Fernando Bovaira
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu
Un uomo, la sua vita, il suo male
Questa è la storia di un essere umano in caduta libera. Sulla strada verso un’improbabile redenzione, l’oscurità domina la sua vita. Uxbal è un eroe tragico e anticonvenzionale: separato dalla moglie, si prende cura dei suoi due figli. È un uomo che fa affari con gli immigrati, pagando per conto loro le bustarelle alla polizia, così che chiuda un occhio sui loro commerci per strada. Egli sente il pericolo della morte e lotta contro una realtà corrotta e un destino che lavora contro di lui. Ormai gli resta davvero poco tempo, e c’è un’intera vita vita da mettere a posto.
Una storia piena
Biutiful di Alejandro Gonzáles Iñárritu è un film sentimentale e spietato allo stesso tempo. Una storia fluviale e tragica, che però non cerca mai la lacrima facile nel pubblico, più incoraggiato a riflettere sul vero valore della vita, che a commuoversi per le tragiche vicende che coinvolgono i protagonisti. Il regista messicano rivela, senza remore di sorta, il suo amore per la capitale della Catalogna, dove ambienta questa eccellente pellicola, affermando: “Barcellona è la regina d’Europa”. Quella mostrata da Iñárritu però è una città degradata e squallida, decisamente lontana dai colori di Gaudi e dalla movida turistica delle Ramblas. Il cineasta ci propone ancora una volta una storia impegnativa, con il quartiere di Santa Colonna e del vicino Badalona stracolmi di senegalesi, cinesi, pachistani che vivono tutti insieme, parlando ognuno la propria lingua senza preoccuparsi di integrarsi. Iñárritu rappresenta un contesto globale, dove il concetto stesso di etnia, ma anche di Europa, svanisce: Barcellona, Roma, Londra, ovunque gli stessi problemi legati al sottobosco di illegalità in cui vivono gli immigrati e dove troviamo gli immancabili bar e negozi gestiti dai cinesi. Ormai l’idea di essere un cittadino di un determinato luogo perde valore, davanti all’imposizione coatta del ruolo di consumatore fatta dalla società contemporanea.
Trattasi di un’opera assai complessa, nella quale si affrontano varie tematiche: omosessualità, immigrazione, il disagio urbano dei ceti più poveri. Differentemente dai film precedenti, qui l’autore porta sullo schermo la storia di redenzione di un solo uomo, tutto infatti gira intorno al personaggio di Uxbal. Certo è pur vero che Iñárritu anche in questo caso mantiene la sua impronta caratteristica, ovvero narrare più storie che via via si intrecciano, con diversi linguaggi. L’intento del regista è quello di raccontare un’esistenza complessa, mostrandola attraverso la semplicità dei suoi drammi. Il tema portante è ancora quello della perdita, con un padre che sta per morire, lasciando due figli, nonché una moglie afflitta da gravi disturbi mentali, senza protezione né futuro. Un uomo che va incontro alla perdita delle persone a lui più care e persino quella di se stesso, coinvolto in un mondo che lo risucchia in una melma di compromessi. Javier Bardem – premiato per il suo ruolo come miglior attore a Cannes nel 2010 – si conferma come uno dei migliori attori maschili in circolazione al momento. C’è poco da commentare sulla sua interpretazione, eccezionale!
La pellicola è formalmente essenziale, con una fotografia che comunica uno stato quasi di malattia, altro tema “caro” a Iñarritu. La regia è cruda e fredda, priva di virtuosismi. Stessa cosa dicasi per il montaggio, che si fa frenetico solo in pochissimi casi, assecondando per lo più i numerosi momenti di lentezza con cui scorre il tempo di Uxbal, la cui vita va pian piano dissolvendosi.
Per concludere, Biutiful è un film bello, quanto intenso e intimo, capace di fotografare una realtà urbana in modo complesso, seppur mai cervellotico, per raccontare delle vicende umane che in fondo tutti sappiamo essere presenti in gran numero nelle nostre città, ma che in fondo cerchiamo sovente di far finta ipocritamente di non sapere che esistano.
Riccardo Rosati