CARAVAGGIO E LA SUA NEMICA OMBRA. recensione di Francesco Sirleto

CARAVAGGIO E LA SUA NEMICA OMBRA.
recensione di Francesco Sirleto
Un thriller storico-artistico di Michele Placido, “L’ombra di Caravaggio”, con Riccardo Scamarcio e Louis Garrel; gli ultimi tormentati anni di vita del pittore, dalla sua condanna a morte nel 1606 alla sua tragica e misteriosa scomparsa nel 1610.
Finalmente, dopo più di un anno dalla sua uscita nelle sale, ho potuto assistere, con gli amici del Cinecircolo romano e – ironia della sorte – all’interno del cinema “Caravaggio” di via Paisiello, al miglior film da regista di Michele Placido; un’opera da lui sognata, desiderata e progettata da almeno mezzo secolo (se dobbiamo credere alle sue dichiarazioni).
Dico subito che si tratta di un film di ottima fattura, con una sceneggiatura che risente tanto di uno studio accurato delle fonti artistico-biografiche relative alla figura del grande pittore lombardo, quanto di un’ambientazione storica molto fedele alla realtà sociale e culturale dell’epoca nella quale si inserisce la tormentata vicenda umana dell’artista.
Alla sceneggiatura si aggiungono ambienti, costumi, atteggiamenti, espressioni linguistiche e una fotografia che sembrano ricreare fin nei minimi particolari la Roma del ventennio a cavallo tra ‘500 e ‘600, così come appare dalle celebri tele composte da Michelangelo Merisi in quegli anni che videro la sua rapida affermazione artistica, ma anche l’altrettanto precipitosa rovina causata dai suoi deprecabili comportamenti e atti criminali.
Ma aggiungo anche che, diversamente da quanto ci si aspetterebbe, principale protagonista della storia narrata (una storia che, giustamente, supplisce con la fantasia a quegli aspetti biografici non ancora del tutto chiari o addirittura avvolti nel mistero), non è affatto Caravaggio (interpretato da un credibilissimo Riccardo Scamarcio), quanto piuttosto il misterioso e innominato inquisitore che si autodefinisce “Ombra” (interpretato da un non sempre credibile Louis Garrel); quest’ultimo una sorta di super poliziotto, dotato di pieni poteri, incaricato da papa Paolo V Borghese di indagare sul grande pittore, al fine di verificare se sia degno o meno di ricevere la grazia che possa salvarlo dalla condanna a morte comminatagli per l’omicidio da lui commesso “per futili motivi”, il 28 maggio 1606, a danno di un soldato di ventura, suo rivale in amore.
Orbene, questo inquisitore è un parto della fertile fantasia del regista Michele Placido (nel film impegnato anche come attore nei panni del mecenate cardinal Del Monte). Un’ottima invenzione, dobbiamo ammettere, utile a spostare la narrazione dal registro biografico al piano dell’indagine poliziesca. Ma utile anche in relazione al senso generale e più profondo che l’autore ha voluto imprimere alla sua opera: l’Ombra, infatti, non è altro che l’inquietante e simbolica incarnazione di una Chiesa controriformistica, da poco uscita dal Concilio di Trento, rigidamente contraria alle libertà espressive che, imprudentemente, la precedente Chiesa rinascimentale aveva concesso ai grandi artisti come Michelangelo, Leonardo e Raffaello. È una nuova Chiesa che vuole, invece, dettare ex auctoritate regole rigide e uniformi all’arte, al fine di degradarla a mero e formidabile strumento di esaltazione, agli occhi del popolino ignorante, del suo proprio ruolo di unica mediatrice tra Dio e gli uomini, e ciò ad “maiorem Dei gloriam”. Una Chiesa, infine, che si fa gesuiticamente promotrice e protettrice dell’arte barocca, la quale deve mirare solo allo “stupore e alla meraviglia” (come opportunamente e icasticamente afferma, in versi celebri, il poeta Giambattista Marino), evitando di suscitare dubbi e riflessioni pericolose. Un’arte, quella barocca, che costituisce l’antitesi di quella perseguita ostinamente da Caravaggio: arte come ricerca e rappresentazione del vero, un vero che è possibile scoprire nella natura e negli strati più bassi e poveri della società (in mezzo ai mendicanti, agli ammalati, agli affamati, ai ladri e alle prostitute). Non a caso la concezione estetica di Caravaggio coincideva con l’impianto filosofico e la visione del mondo di un’altra “bestia nera” della Chiesa dell’epoca, di quel Giordano Bruno che appare, significativamente, anche nel film di Placido, e proprio nella circostanza del suo processo, della condanna a morte e del suo martirio sul rogo in piazza Campo de’ Fiori. Bella e commovente la scena (anch’essa inventata) dell’incontro in carcere tra Giordano Bruno e Caravaggio. E non ci è sfuggito l’omaggio che Placido, nel tratteggiare la figura di Bruno, ha voluto fare allo scomparso regista Giuliano Montaldo, autore nel 1970 di un memorabile “Giordano Bruno” interpretato da Gian Maria Volontè.
Analogamente, ci appare del tutto funzionale, ai fini della crescita del pathos nella complicata e controversa ascesa e caduta dell’artista lombardo, l’improbabile relazione sentimentale (anch’essa partorita dalla fantasia del regista Placido) tra Caravaggio e la contessa Costanza Colonna (una mirabile e intramontabile Isabelle Huppert).
E ancor più fantasiosa ci sembra la ricostruzione delle circostanze della morte del pittore, nelle quali risulterebbero determinanti la volontà e il ruolo dell’inquisitore autodefinitosi “Ombra”.
Ma, in definitiva, nonostante le forzature storico-biografiche (che non saranno, forse, state gradite dai valorosi biografi di Caravaggio, in primis dall’australiano Peter Robb, autore del monumentale “M, l’enigma Caravaggio”), il film è sicuramente un prodotto di alta e sperimentata scuola cinematografica, avvincente e gradevole, in grado di soddisfare in egual misura i palati raffinati tanto dell’intenditore di storia dell’arte quanto dell’accanito e inguaribile cinefilo.