GOTICO PADANO recensione di Catello Masullo

 

GOTICO PADANO recensione di Catello Masullo

(sinossi e credits da MYMOVIES)

 

 

GOTICO PADANO

Sinossi: Quarantasette anni dopo, La Casa dalle Finestre che ridono evoca ancora terrore, paura e inquietudine. Il capolavoro horror diretto da Pupi Avati, girato tra l’entroterra ferrarese ed il delta del Po, desta ancora interesse tanto da essere divenuto un cult. Ma perché è stato possibile? Da dove nasce la sua innegabile aura “maledetta”? Su questo inciso Roberto Leggio e Gabriele Grotto sono partiti alla ricerca dei luoghi dove il film è stato girato, cercando di trovare risposte. Fondendo realtà e fantasia, raccordando le parole dello stesso Avati, scrittori e giornalisti, i due registi hanno tessuto una ragnatela di risposte e supposizioni, cercando rafforzare il mito di quel film, cercando in ogni caso di giocare con la magia del cinema.

Regia: Roberto LeggioGabriele Grotto

Italia2024,

Durata: 75’

Colore: C

Genere: Documentario/Docu-fiction

 

Recensione di Catello Masullo: Oggi alla sala Anica di Roma è stata presentato alla stampa specializzata un film in tutto particolare, di quelli che se ne vedono di rado. Impreziosito da una ricchissima conferenza stampa con i due registi, condotta da Maurizio Di Rienzo, con la sua consueta verve e la sua immancabile ironia, pungente e fulminante, e con gli impagabili interventi dal palco di Franco Mariotti, colonna e vessillo del Cinema Italiano, che può vantare di aver tenuto a battesimo i Fratelli Antonio e Pupi Avati, sin dal loro esordio cinematografico, e che portato tutta la ineguagliabile ed incomparabile sapienza sulla aneddotica avatiana. Il film “Gotico Padano” ha un sottotitolo significativo quanto programmatico: “Sulle tracce di Buono Legnani, il pittore delle agonie”. Il “fil rouge” della sceneggiatura è proprio una indagine da detective su Buono Legnani, uno dei personaggi chiave del mitico horror di Pupi Avati “La Casa dalle Finestre che Ridono”. Una pietra miliare del genere, che ha lasciato il segno ed ha fatto scuola. Un film che ha terrorizzato generazioni di ragazzi e adulti ed è rimasto scolpito nelle loro memorie. Durante la conferenza stampa il critico cinematografico  Oriana Maerini (legata ad uno dei registi, Roberto Leggio, da una relazione non solo artistica, ma anche meta-artistica…), ha ricordato di aver visto il film di Avati all’età di 25 anni, a Torino, da sola in un palazzotto spettralmente vuoto, dove avrebbe dovuto dormire da sola, e che ne fu talmente atterrita da cercare a mezzanotte passata un albergo dove trascorrere la notte… Credo che quasi tutti gli spettatori conservino un ricordo indelebile da questa esperienza di visione filmica dall’impatto devastante. Anche io l’ho visto che ero laureato da un pezzo. Avevo una cassetta VHS che dovevo recuperare da tempo e non trovavo mai il tempo da dedicare alla visione di quel film di cui tutti avevano parlato. Lo feci in una delle notti di un periodo delle feste di Natale, dall’una alle tre di notte. Da solo, perché tutti erano andati a dormire, in una ampia villa di montagna, isolata nel bosco, circondato/attanagliato da una atmosfera che si è fatta, mano a mano, sempre più byroniana.  “La Casa dalle Finestre che Ridono” incuteva (ed incute tuttora) davvero terrore perché mostrava pochissimo, niente sangue, per nulla slasher come gli horror moderni, che fanno più ridere che aver paura. E, quello che mostrava, era sempre credibile, non arrivava mai alla rottura della incredulità. Questo il genio ed il segreto della riuscita: la verosimiglianza. Venivano mostrate circostanze talmente vere che potevano accadere anche ad ognuno degli spettatori. Magistrale. Non meraviglia dunque che a quasi 50 anni da quel film ancora ci sono fan che si aggirano nei luoghi dove il film fu girato. Ancora alla ricerca delle tracce delle leggende o storie vere che ne costituirono lo spunto.

Roberto Leggio e Gabriele Grotto hanno fatto un capolavoro di arte cinematografica. Un saggio di cultura filmica di altissimo livello, più che universitario, con il ritmo e le atmosfere del thriller. Che tiene costantemente in “sospensione” lo spettatore, facendo propria la lezione del maestro dei maestri, Sir Alfred Hitchcock. L’inseguimento delle tracce da parte dei due segugi è mozzafiato. La costruzione è impreziosita da sapienti scene di fiction, all’interno del cinema del reale, che mettono in dialogo le scene di repertorio con il reale, sino a rendere i tre livelli sovrapponibili, perfino, a tratti, indistinguibili. Menzione speciale anche alle musiche, una vera partitura da thriller. Il finale è aperto. Viene quindi voglia, per saperne di più, che si chiuda la trilogia, che Roberto Leggio ha iniziato nel 2005 con “Il mistero di Lovecraft – Road to L. “. Da non perdere.

 

Valutazione Sintetica: 8