Visto in Rassegna al Cinema Lovaglio di Venosa
La sala professori diretto da Ilker Catak
recensione di Armando Lostaglio
Essere attore, per definizione, richiede una buona dose di narcisismo, di ego. Esporsi e recitare, ovvero entrare in un personaggio, è l’aspetto più difficile per chi opera in scena, mettendo in gioco sensibilità e pudore. Se all’attore si sostituisce il ruolo di insegnante, narcisismo ed ego, sensibilità e pudore sembrano pressoché sinonimi nel senso di ambire a mostrare (non solo per fini didattici) le proprie potenzialità espressive e di trasmissione di saperi. Vedendo “La sala professori” – ennesimo gioiello di questa stagione cinematografica fra le più vigorose degli ultimi dieci anni – lo spettatore è colto dal supremo senso di sconcerto, di inadeguatezza quasi, su cosa siamo in questo contesto che chiamiamo società civile. E in essa la scuola rappresenta il più equo spazio nella disamina dei rapporti umani, in questo tempo nel quale sembra quasi che il rapporto discente/docente sia alterato, e le ore trascorse in aula diventino sabbie mobili. La protagonista di questo stupefacente film, diretto dal turco tedesco Ilker Catak, è Leonie Benesh (fra le interpreti di grandi film come “Il nastro bianco” e “Lezioni di persiano”); sa dar corpo a passione e rimorsi, attaccamento per gli alunni e giustizia sociale. Il suo alter ego è l’alunno Oskar: siamo in un liceo tedesco, dove accadono furti e incomprensioni mal celate; l’azione della docente volta a scoprirne i responsabili, finisce per innescare una serie di reazioni pubbliche e private. Avrebbe meritato l’Oscar 2024 anche questo film, in corsa per la cinematografia tedesca. Non fosse altro per un finale autorevole, con l’iconografia di una vittoria che paradossalmente lascia emergere una sconfitta.