CONFIDENZA, O DEL FASCINO INDISCRETO DELL’AMBIGUITA’ NARCISISTICA
Il film di Daniele Luchetti non convince come ritratto della scuola italiana e, come thriller, non riesce ad andare oltre l’incompiutezza, nonostante le ottime prove degli interpreti
di Francesco Sirleto
Non necessitano particolari doti di intuito investigativo né di perspicacia per comprendere che l’inconfessabile “confidenza” (nel film velatamente accennata solo nel finale) che il protagonista del film di Daniele Luchetti – il docente liceale Pietro Vella (un Elio Germano al massimo delle sue straordinarie doti interpretative) – sussurra alla sua amante Teresa Quadraro (l’eccellente Federica Rosellini, anch’ella al top della sua ancora breve ma luminosa carriera di attrice teatrale e cinematografica), sua ex alunna in un liceo classico della periferia romana, ha qualcosa a che fare con la sessualità, un’attività severamente e giustamente proibita (tanto dalle leggi dello Stato quanto dall’etica della professione) se a praticarla sono un insegnante e un’allieva dello stesso, non importa se maggiorenne o minorenne (in tal caso, il fatto, oltre che proibito, diviene penalmente rilevante). Un evento del genere, se accade, è tale da stroncare, come nel film viene detto chiaramente, in maniera definitiva, la carriera del docente. D’altra parte lo stimatissimo e amatissimo prof. Pietro Vella, uno di quei docenti che “lasciano il segno” nella memoria della maggior parte dei loro ex alunni, intervistato più volte sui principi ispiratori della sua attività di educatore, ha sempre messo in evidenza l’assenza di “qualsiasi principio” alla base dei suoi metodi; l’unico criterio, aggiunge con un sorriso, “è la libertà” e la fiducia che ha in ogni circostanza accordate ai suoi studenti, ma “la libertà di fare come dico io” (e qui il sorriso diventa aperta e scrosciante risata). Pietro Vella ha l’indubbia capacità di apparire – e di far credere di essere veramente – un ottimo docente: alla mano, compagnone, adopera lo stesso linguaggio, lo stesso abbigliamento, le medesime abitudini extrascolastiche dei suoi studenti, tutti anagraficamente in quella fase della vita di passaggio tra l’adolescenza e la prima giovinezza (sedici – diciannove anni, per intenderci). Ma, nonostante i suoi successi e la sua eccellente reputazione, egli non riesce ad ingannare sé stesso, né le donne che, una dopo l’altra, prima l’amante Teresa poi la moglie Nadia (entrambe docenti di matematica, sebbene su livelli molto distanziati) rimangono abbagliate e conquistate dal suo indubbio fascino. Egli conosce bene i suoi difetti: il suo narcisismo, il suo perbenismo conformista, la sua paura di non apparire all’altezza delle circostanze e, soprattutto, di rivelare la sua fragilità, i suoi tradimenti e la sua fondamentale ambiguità; difetti che lo inducono, spesso e volentieri a mentire spudoratamente. La storia, di conseguenza, si sviluppa lungo direttrici opposte: una doppia vita, una doppia personalità, quella del prof. Vella: da una parte la pubblica e ottima reputazione, che lo porta addirittura alle soglie di un premio concessogli dalla Presidenza della Repubblica; dall’altra i tradimenti, le bugie, le nevrosi, l’impossibilità di giustificare, a sé stesso e alle sue donne, il “doppio binario” sul quale si dipana la sua esistenza. In verità, il prof. Vella, nonostante la quasi universale stima, è tutt’altro che un buon docente: la libertà che egli si compiace di concedere ai suoi allievi non è vera libertà, innanzitutto perché non è “educazione alla libertà” (cioè, al saper usare della libertà); in secondo luogo perché manca l’elemento essenziale che accompagna la libertà autentica, cioè la “responsabilità”, la consapevolezza e la capacità di “rispondere” delle proprie azioni. Il prof. Vella, in altri termini, è un irresponsabile e sa di esserlo, tanto da imbattersi in lancinanti crisi e tormenti interiori, durante i quali medita e sogna il suicidio oppure, nell’avvicinarsi della data del ricevimento al Quirinale, nel quale sarà insignito dell’agognato premio alla carriera, travolto dal terrore delle possibili rivelazioni, immagina di uccidere la sua ex amante Teresa.
Confidenza è un film che, nonostante la sapiente regia e le eccellenti performances dei suoi interpreti (nell’ordine: Federica Rosellini, Elio Germano, Vittoria Puccini nel ruolo della moglie tradita), dà l’impressione dell’incompiutezza. Essendo ambientato in ambiente scolastico ed essendo i suoi protagonisti insegnanti e studenti, ciò che manca, a mio avviso, è proprio la scuola, la scuola quella vera, con i suoi annosi problemi ma anche con le sue potenzialità, il suo ruolo di supplente dello Stato e della famiglia nella formazione dei giovani, il suo essere l’unico baluardo contro la barbarie indotta da un sistema economico disumano e dall’omologazione giunta ai suoi massimi livelli. Alla scuola il film dedica pochissimo del suo tempo, così come alla didattica e alle differenti personalità degli studenti (a parte la studentessa Teresa Quadraro, sembrano tutti eguali, tutti pendenti dalle labbra del prof.). Il resto, cioè la quasi totalità, è costituita dalla rappresentazione delle schermaglie amorose e dai vari tentativi di mascheramento e di auto-giustificazione (non certo di fronte al tribunale della propria coscienza) di un pessimo docente che, anche sul piano umano, non fa proprio una bella figura.
Un’ultima annotazione: fino a quando il mondo della scuola dovrà sopportare questo continuo e ingeneroso (da parte dei genitori, da parte dei maitres-à-penser quali Galimberti e Crepet, da parte dei social media, ecc.) tiro al bersaglio sulla “croce rossa” dell’istituzione scolastica?