SAMURAI D’INCHIOSTRO – SOLE E ACCIAIO NEI MANGA E ANIME GIAPPONESI A cura di Carlomanno Adinolfi e Riccardo Rosati Editore: PROFONDO ROSSO Recensione di Catello Masullo.

SAMURAI D’INCHIOSTRO – SOLE E ACCIAIO NEI MANGA E ANIME GIAPPONESI

A cura di Carlomanno Adinolfi e Riccardo Rosati

Editore: PROFONDO ROSSO

Recensione di Catello Masullo.

 

Questo libro non doveva essere un libro. I contenuti dovevano illustrati oralmente in un seminario che fu bloccato dal primo lockdown a seguito della pandemia Covid19. Gli organizzatori discussero di poter organizzare un webinar, nella impossibilità di un incontro di persona come programmato. Riccardo Rosati, uno dei due curatori di questa pubblicazione, lanciò, invece, l’idea di mettere inchiostro sulla carta e realizzare il libro che mi accingo a recensire.

Un libro scritto a 10 mani (dodici, se si volesse, e si deve, contare anche la bella e dotta prefazione di Gianluca Di Fratta). Una polifonia di voci che arricchisce in modo esemplare questo saggio, che riesce nel miracolo di coniugare l’altissimo livello scientifico con cui viene trattata la tematica, con la scorrevolezza e la piacevolezza di una lettura di grande interesse culturale.

Un libro plurale, in quanto ad autori, è normale che sia anche un libro disuguale. Non tutti i capitoli che lo compongono sono dello stesso livello. Come mi è capitato di costatare in altri saggi a più mani, il capitolo di maggiore spessore ed impatto è quello di Riccardo Rosati, il primo, dal titolo “La visione del mondo dei samurai nei manga e negli anime”. Rosati, come per altri suoi scritti, coniuga un altissimo valore culturale ad una straordinaria chiarezza di esposizione. La sua lettura sarà preziosissima per chi si avvicina alla materia da neofita o quasi. A cominciare dalle definizioni della terminologia specialistica, indispensabile per approcciare e penetrare la materia, e poterne così apprezzare il fascino. A cominciare dal termine “anime”, che siamo abituati a percepire come femminile plurale, mentre deriva dalla pronuncia abbreviata della parola inglese “animation”, trascritta con l’alfabeto fonetico Katana, utilizzato per scrivere le onomatopee e le parole di origine straniera. Quindi, “gli anime”, e non “le anime”. Molto utile leggere le documentatissime note dello scritto di Rosati, che sono una vera manna di informazioni, curiosità, approfondimenti. Il saggio di Riccardo Rosati costituisce una pietra miliare per la comprensione della filosofia e del costrutto culturale che sostengono il vero fenomeno mondiale dei manga e degli anime. E che spiegano lo straordinario successo globale. Nonché la influenza profonda ed il fascino esercitato sui grandi artisti del mondo occidentale, da Oscar Wilde, a Gabriele D’Annunzio, a Frank Miller, a Julius Evola, solo per fare qualche nome.

Il Secondo capitolo è scritto da Cristina Frattale Mascioli, dal titolo “Lo Spirito del Giappone non si è mai eclissato: la tradizione Shinto nella Principessa Mononoke di Miyazaki”. Che ci chiarisce, fin dall’esergo, che “In Giappone non esistono Dei classificabili come “buoni” o “cattivi”: uno stesso Dio si comporta con ferocia o con gentilezza a seconda della circostante”. Un concetto non esattamente intuitivo per la nostra cultura. Il capitolo analizza i profondi significati dell’arte di uno dei massimi maestri della animazione mondiale, Hayao Miyazaki, il quale esprime in modo sublime la filosofia giapponese che non scinde essere umano e natura: “Le persone, le bestie, gli alberi e l’acqua meritano tutti di esistere. Ecco perché gli uomini non possono bastarsi; dobbiamo lasciar spazio agli animali, come pure alla vegetazione e all’acqua”. La Principessa Mononoke, che ha preso 17 anni di preparazione, costituisce una delle più alte espressioni dell’arte dell’animazione, racconta in forma di mito un dramma ecologico ed affronta il rapporto storico tra Shinto e Buddhismo nel solco della tradizione spirituale nipponica. Che non è lontana dal Platonismo e dal Cristianesimo ed anche dallo Zoroastrismo.

Terso saggio, “La Via del Bushido si anima”, porta la firma di Carlomanno Adinolfi. Il quale smentisce il pregiudizio occidentale che relega il fenomeno del mondo animato giapponese e dei manga a “cosa da bambini”. Citando moltissimi, celebrati e talentuosi autori occidentali che sono stati considerati dei guru da quando i cinecomics sono stati definitivamente sdoganati.

Capitolo quarto, “Fascinazione e rifiuto per anime e manga nell’immaginario italiano”, a cura di Enrico Petrucci. Ci ricorda come grandi autori italiani si siano ispirati alla cultura dei manga, da Emilio Salgari a Marinetti a Giovanni Pascoli, a Duilio Cambellotti. Curiosa quanto interessante l’analisi della avversione di una certa sinistra italiana verso il culto dell’irrazionale e del magico e dei valori arcaici, che, peraltro, colpiva negli stessi anni anche i frutti del genio letterario e visionario di Tolkien e quello protofemminista e rivoluzionario delle sorelle Giussani di Diabolik. Fino ad arrivare a malriposte accuse di “fascismo”, che venivano distribuite con molta disinvoltura e poca cultura (fanno anche rima…) in certe epoche. La storia ha fatto, poi, giustizia.

Quinto saggio, “Samurai all’occidentale”, di Alessandro Bottero. Che sembra prendere il testimone dal capitolo precedente, quando cita, in apertura, Wittgenstein: “Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere”. Una massima sempre valida, alla cui saggezza, sempre meno, ahinoi, ci si abbevera. Il tema del terzo capitolo è il percorso che ha portato i samurai nei fumetti occidentali. La commistione delle culture viene da lontano. Una pietra miliare, secondo l’autore, è il Leone d’Oro, a sorpresa, conferito dalla Mostra di Venezia, nel 1951, a “Rashomon”, di Akira Kuroswa. Tale successo rese possibile quello che era sembrato sino ad allora impossibile, per la prima volta un’estetica autenticamente giapponese si offriva al grande pubblico internazionale. I primi film di animazione giapponesi vennero distribuiti nei cinema USA nel 1961, dieci anni dopo era “Kung Fu Mania”, con Bruce Lee. La fascinazione della Marvel Comics per il Giappone sfociò nei famosi “Robottoni”, di chiara derivazione dalla cultura dei samurai. In seguito, l’idea del “ronin”, il guerriero caduto in disgrazia, affascinò Frank Miller, fino a portarlo, nel 1974, al punto di arrivo, il celeberrimo Wolverine, che scopriamo parlare il giapponese e seguire il codice di comportamento del samurai. Il resto è storia dei nostri giorni.

Spero di aver dato qualche accenno (minimo) che possa indurre il lettore a cercare e leggere questo saggio di fondamentale importanza per capire un fenomeno culturale di portata globale. Capire le ragioni di un successo travolgente ed inarrestabile degli anime giapponesi su generazioni di bambini (e non solo) occidentali. I quali, in barba alle disquisizioni cervellotiche di alcuni nostri intellettuali illusi di poter arginare la valanga, hanno intuito, prima e meglio di tutti, la potente carica di emozione, di coinvolgimento empatico, di sentimento identitario che tali espressioni artistiche si portavano (e si portano) dietro. Buone letture.