MEDFILM 16/11
Passing dreams di Rashid Masharawi
Il sogno oltre i Muri: Il Piccione e la Perla Blu
Recensione di Serena Verdone
“Passing Dreams” è un film diretto dal regista palestinese Rashid Masharawi, presentato in presenza del regista il 16 novembre 2024 in anteprima italiana al MedFilm Festival 2024 al MAXXI in versione originale con sottotitoli in italiano e inglese. Nei giorni precedenti è stato proiettato a Toronto e a il Cairo
Ha ricevuto il Premio MedWips (MedFilm Works in Progress) Oim al Medfilm 2023, con i quale ha ottenuto fondi per la post produzione, pochi giorni dopo il 7 ottobre 2023 e per questo il regista ha ringraziato il festival.
La pellicola racconta la storia di Sami, un ragazzo di 12 anni che intraprende un viaggio attraverso i territori palestinesi alla ricerca del suo piccione viaggiatore smarrito. Questo viaggio lo porta dal campo profughi in cui vive, a Betlemme, a Gerusalemme e alla città di Haifa, accompagnato dallo zio e dal cugino, sottoponendosi anche alle umiliazioni e rischi dei checkpoint.
Lungo il percorso del giovane Sami, alla ricerca del suo piccione viaggiatore smarrito, emergono storie di persone comuni, ciascuna con i propri sogni, difficoltà e speranze. Ogni incontro, che avviene sullo sfondo di un paesaggio segnato dal conflitto e dalla resistenza, dipinge un ritratto autentico della resilienza e della vita di una comunità che cerca di mantenere la propria umanità nonostante le difficoltà.
Attraverso la lente del viaggio di Sami, il regista riesce a trasmettere uno spaccato vivido e sincero della quotidianità palestinese, trasformando l’esperienza del giovane protagonista in una finestra sul vissuto collettivo della regione prima del 7 ottobre 2023.
Rashid Masharawi, regista autodidatta originario di Gaza, è noto per essere uno dei primi cineasti palestinesi a girare nei territori occupati. Tra i suoi lavori più riconosciuti figurano “Curfew” (1990), “Haifa” (1996) e “Il compleanno di Laila” (2008), quest’ultimo vincitore al MedFilm Festival. Nel 1996, Masharawi ha fondato il Cinema Production Center, con l’obiettivo di coltivare talenti palestinesi attraverso workshop, formazione e festival per bambini.
Dopo la proiezione, sollecitata dalla direttrice del festival Ginella Vocca, la platea ha chiesto al regista in merito alle difficoltà e rischi per una produzione nei territori occupati soprattutto in presenza di attori bambini e ragazzi. Masharawi ha indicato di aver previsto il Piano A, il Piano B, e il Piano C con il ricorso frequente al Piano C, descrivendo così perfettamente la realtà di un cinema che deve continuamente adattarsi a condizioni di estrema difficoltà. Ogni film realizzato in queste aree diventa un atto di resilienza e creatività, un viaggio che raramente segue i piani iniziali. Nel contesto di una produzione cinematografica nei territori occupati, la frase “Non solo non eravamo autorizzati a girare a Gerusalemme, non ci potevamo proprio stare” esemplifica le sfide estreme che i cineasti devono affrontare. Questi ostacoli non sono solo logistici o burocratici, ma anche legati a divieti fisici e restrizioni di movimento imposte da una realtà politica complessa.
Masharawi ha aggiunto che uno dei bimbi del film, l’amichetto di Sami che rimane nel campo profughi e non lo segue nell’avventura, ha perso un dito il giorno successivo alle riprese per pallottola esplosa da mitragliatrici automatiche perché si era avvicinato troppo al muro di separazione. Questo tragico episodio aggiunge una dimensione ancora più potente alla narrazione di Passing Dreams, trasformandola in qualcosa che va oltre il cinema. La perdita di un dito da parte di uno dei bambini protagonisti del film, causata da una pallottola esplosa vicino al muro di separazione, evidenzia con brutale chiarezza il contesto di pericolo reale e costante in cui i palestinesi vivono, soprattutto i più piccoli. L’incidente sottolinea come il muro di separazione, oltre a frammentare fisicamente i territori, rappresenti un simbolo di pericolo e oppressione, soprattutto per i bambini che crescono accanto ad esso. Quel muro, che nel film è un elemento scenico e narrativo, nella realtà diventa un protagonista crudele, capace di ferire fisicamente e psicologicamente. I bambini, come Sami nel film, incarnano speranza, sogni e innocenza. Tuttavia, questa innocenza viene continuamente messa a rischio da un ambiente militarizzato dove anche avvicinarsi troppo a un muro o a una guardia può costare caro. L’esperienza del bambino ferito rende palpabile l’urgenza del messaggio del film: il bisogno di proteggere l’umanità e i sogni dei più giovani in un contesto che sembra volerli spezzare. Questo tragico evento avvenuto il giorno successivo alle riprese sottolinea il sottile confine tra la finzione cinematografica e la realtà quotidiana nei territori occupati. Mentre il film racconta una storia, la realtà invade il set con la sua brutalità, mostrando come i pericoli descritti nella narrazione siano reali e costantemente presenti.
Altra domanda dal pubblico è stata relativa alla simbologia del film:
- la frase ispirata dal titolo “I sogni del bambino volano, i personaggi no”è una potente sintesi della tensione emotiva e narrativa che anima la storia. Racchiude l’essenza di un viaggio che si svolge tra speranza e immobilità, tra il desiderio di libertà e la cruda realtà che trattiene i protagonisti.
- l’immagine dei colombi chiusi in gabbia nel film è una potente metafora che rappresenta la condizione dei palestinesi, confinati e privati della loro libertà. I colombi, uccelli che per natura sono associati alla libertà di volare, alla pace e alla leggerezza, diventano un’immagine stridente quando rinchiusi in una gabbia. La gabbia rappresenta le restrizioni imposte dall’occupazione: i muri, i checkpoint e le leggi che limitano i movimenti e le opportunità dei palestinesi. Come i colombi, i palestinesi sono intrappolati in uno spazio fisico e simbolico che li isola e li reprime. Il piccione che vola via dalla gabbia è una metafora del sogno di libertà e del diritto al ritorno. Mentre molti colombi rimangono intrappolati, uno che riesce a volare rappresenta la speranza che, nonostante le difficoltà, la libertà è ancora possibile. È un richiamo alla forza dell’immaginazione e al potere del sogno di superare le barriere
- la coppia di ebrei russi che hanno occupato la casa dell’amico palestinese rappresentano un altro conflitto in atto: spesso percepiti come “nuovi arrivati” da altre comunità ebraiche, gli immigrati ebrei russi si trovarono in una posizione ambigua: da un lato, vittime storiche di oppressioni, e dall’altro, attori di un sistema che spingeva verso l’appropriazione di terre e case palestinesi
- il ritorno alla città di origine Haifa, ormai occupata dagli israeliani, è una potente metafora che racchiude temi di perdita, identità e memoria. Questo atto non è solo un viaggio fisico, ma una riflessione profonda sul significato della casa, sull’appartenenza e sulla riconciliazione con un passato che non può essere recuperato nella sua interezza. La casa occupata dagli israeliani è una metafora delle lotte materiali e simboliche del conflitto. Per i palestinesi, è il simbolo di ciò che è stato sottratto.
La conclusione del regista e della direttrice del festival di augurare, che augura la fine delle uccisioni e delle morti senza entrare nel merito delle questioni politiche, rappresenta una scelta significativa. Questa posizione, pur evitando il confronto diretto con le dinamiche politiche, pone al centro l’aspetto umano della tragedia, riconoscendo il valore universale della vita e il desiderio condiviso di pace.
Serena Verdone