Napoli New York di Gabriele Salvatores
Di Armando Lostaglio
Il neorealismo di Paisà è il riferimento magnetico di una storia antica e moderna, Napoli New York, l’ultimo film di Gabriele Salvatores. Fiabesca rivisitazione di un tempo di migrazioni, allora verso l’America, ma con un richiamo all’oggi, verso l’Europa, nel Mediterraneo. E verso l’Italia. “Partono i bastimenti pe’ terre assai luntane, cantano a buordo e so’ napulitane!…“ si cantava un secolo fa, quando a milioni partivano dal Sud come da altre regioni pur nell’incertezza, nutrendo la speranza di vita nuova. Napoli e New York era una delle rotte più ambite e frequenti di un’epoca remota. La rotta del film che Gabriele Salvatores ci traccia e rende epica, in un film didascalico e forse con premura didattica, necessaria: chi eravamo noi e chi siamo oggi, noi. Salvatores ha il pregio di farci decollare in una dimensione fantasiosa, con nitide allusioni ad Eduardo e a Dickens. L’immediato dopoguerra in una Napoli devastata con la forza di arrangiarsi, a partire dagli scugnizzi. Siamo nel 1949, macerie di una guerra devastante, che rimandano alla memoria il film di Liliana Cavani La pelle, (1981) tratto dal romanzo di Curzio Malaparte. Torniamo al ’49, una bomba, fino ad allora inesplosa, causa devastazione e morte: restano due bambini soli e orfani, una vita di sotterfugi e stenti, e poi la fuga avventurosa verso New York. Il sogno americano che si fa quasi gioco di paure e miserie. Tratto da un soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli, il film racconta una fiaba a lieto fine: ancora due bambini, come in un precedente lavoro che Salvatores più di venti anni fa girò in Basilicata, Io non ho paura. Ma qui c’è l’omaggio al neorealismo, al nostro cinema di impegno civile, degli anni 40. Salvatores è napoletano di origine, ci omaggia dunque di un buon film, con un maturo Pierfrancesco Favino. Celeste, (Dea Lanzaro, commovente) è la voce esemplare di quel tempo, lei che perde quel poco che aveva. Ma l’unica cosa che le rimane è l’amicizia con Carmine, (Antonio Guerra) uno scugnizzo, che la porterà lontano. Il viaggio, la ricerca della sorella maggiore in una immensa metropoli già pullulante di umanità e discriminazioni, con scene non prive di luoghi comuni, come la macchiettistica interpretazione di Antonio Catania nei panni di un giornalista italo americano, Joe Agrillo. Ma si ritiene che Salvatores, che sa di cinema, l’abbia voluta apposta così. Il film, tuttavia, non regge al pathos delle tragedie dei migranti, è piuttosto edulcorata da un finale (quasi scontato), mentre la bravura dei due protagonisti conferiranno quell’alone di appagante resoconto. Oltre ai classici della canzone napoletana e brani folk (Nuova compagnia di Canto popolare) Salvatores rispolvera un pezzo straordinario anni ’70 dei Procol Harum A salty dog lupo di mare, mentre la nave salpa verso l’oceano. A suggellare l’antico e il moderno, come nelle migrazioni di Nuovomondo di Crialese (2006) con il ritmo e la voce di Nina Simone.