Le assaggiatrici diretto da Silvio Soldini, recensione di Armando Lostaglio

Le assaggiatrici diretto da Silvio Soldini

di Armando Lostaglio

 

Prosegue nella sua proposta culturale la programmazione al cinema Lovaglio di Venosa: un film straordinario, italianissimo, ma dall’impatto visivo europeo. Girato con un cast tedesco, in quella lingua.                                                                                                               Le assaggiatrici di Silvio Soldini, sua ultima fatica, si apre con una musica battente – evoca quel neorealismo bellico di Rossellini – lo ha tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino, vincitore del Premio Campiello 2018. Il film ha inaugurato il Bif&st di Bari. Musiche intense firmate da Mauro Pagani sottolineano una storia tragica, poco nota prima della pubblicazione del libro. Una luce fredda avvolge le scene, nelle periferie della seconda guerra e del nazismo: una narrazione moderna com’è nello stile di Soldini, che pone spesso la donna in una drammaturgia potente quanto catartica (Un’anima divisa in due, Pane e tulipani e altri). Siamo nel tragico epilogo di una guerra sempre più malvagia, tra il novembre 1943 e il novembre successivo; il luogo è Parcz, paesino dell’allora Prussia orientale in cui si situava il quartier generale rifugio di Hitler, la cosiddetta Tana del lupo. La vicenda tratta di quelle giovani donne, (sono una decina nel libro, sette nel film) che ogni giorno dovevano mangiare le pietanze preparate per il führer prima dei suoi pasti, per assicurarsi che non fossero avvelenate. La sceneggiatura (firmata col regista da Doriana Leondeff, Cristina Comencini, Giulia Calenda, Lucio Ricco, Ilaria Macchia) entra nei meccanismi di un potere che si avventa sul corpo delle donne quale luogo di oppressione, e dunque sulla loro condizione essendo vedove o singole, avendo i maschi al fronte. L’idea del nazismo resta il pretesto per denunciarne la subalterna limitazione, dolorosi corsi e ricorsi della storia. Paradossalmente, mentre veniva offerto cibo a persone affamate, il potere maschilista le teneva in costante rischio della vita, una quotidiana roulette russa senza scampo. La scrittrice Postorino apre il suo testo con il verso di Brecht: “Nel mondo l’uomo è vivo solo a un patto: / se può scordar che a guisa d’uomo è fatto”.                                                                               E’ la seconda volta che Silvio Soldini si propone con un cast straniero dopo Brucio nel vento. “Non penso che la lingua sia un vero scoglio – sottolinea l’autore – soprattutto perché, quando sei davanti a un’emozione, la lingua lascia il tempo che trova. Sono rimasto molto colpito dalla bravura delle attrici e dal loro entusiasmo: vedere qualcuno emanare un’energia positiva su un set complicato come questo è sempre in grado di fare la differenza…” Sono straordinari infatti i protagonisti: Elisa Schlott – che interpreta con misura Rosa Sauer, unica sopravvissuta a quella tragedia poco nota anche agli storici – e Max Riemelt il feroce tenente SS, il quale conferisce una tragica umanità dei soldati obbedienti loro malgrado, che fingono di negare a sé stessi quell’orrore nel quale erano coinvolti. Per alcuni tratti il film sembra alludere a Il portiere di notte, capolavoro di Liliana Cavani (1974) e La caduta (2004) di Oliver Hirschbiegel. Tuttavia, pur con qualche leggerezza in situazioni un po’ al limite nella sceneggiatura (come gli incontri notturni fra gli amanti, il finale rocambolesco) il film di Soldini prende lo spettatore, lo porta nei meandri dell’amore e della complicità erotica, mentre svela una storia vera narrata con garbo e sensibilità.