Recensione su Il Conte di Montecristo – film di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière di Serena Verdone
Recensione su Il Conte di Montecristo – film di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière
di Serena Verdone
Con Il Conte di Montecristo, il cinema francese riporta in vita uno dei capolavori immortali della letteratura con una produzione sontuosa e una regia ambiziosa. Firmato da Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, il film è un kolossal in costume che rispetta il testo di Alexandre Dumas, ma riesce a dargli nuova linfa grazie a una messa in scena moderna e a interpretazioni di altissimo livello.
La trama la conosciamo tutti, Edmond Dantès (Pierre Niney), giovane marinaio onesto e ingenuo, viene tradito da chi credeva amico e incarcerato senza processo nel terribile Château d’If. In prigione, grazie all’Abate Faria (Pierfrancesco Favino), scopre il sapere e la possibilità di un futuro diverso. Dopo una rocambolesca evasione e l’ottenimento di un immenso tesoro, Edmond rinasce come Conte di Montecristo, pronto a vendicarsi con glaciale determinazione di chi gli ha rovinato la vita.
La vendetta, pur centrale, non è mai fine a sé stessa: la trasformazione del protagonista è al centro del racconto, così come il prezzo umano e morale che ogni atto comporta. Pierre Niney regge il ruolo con intensità e misura, regalando un Conte affascinante e tormentato. Ottimi anche Favino, che dà spessore a un personaggio breve e chiave, e Anaïs Demoustier, una Mercédès carica di nostalgia e dolore.
Delaporte e de La Patellière adottano uno stile classico e elegante: la fotografia è ricercata, i costumi e le ambientazioni fedelissime all’epoca. Il ritmo nella prima parte è deliberatamente lento, quasi a voler pesare il tempo che Dantès trascorre in cella. La seconda metà accelera con intelligenza, la pellicola si chiude in modo piuttosto ambiguo: pur avendo ottenuto ciò che aveva pianificato, Dantès sembra rendersi conto che la giustizia, per quanto soddisfacente sul piano della retribuzione, non può cancellare il passato né restituirgli la possibilità di una vita normale.
Questa interpretazione finale, pur rimanendo fedele allo spirito del romanzo di Dumas, offre una chiave di lettura moderna mantenendo vivo il dibattito tra farsi giustizia da soli o attendere e sperare in quella istituzionale.