Recensione su Anora – un film di Sean Baker di Serena Verdone
Recensione su Anora – un film di Sean Baker
di Serena Verdone
Con Anora, Sean Baker, dopo “Red Rocket” e “The Florida Project”, firma qui il suo lavoro più maturo. È crudo e c’è anche da ridere, amaramente.
La storia ruota attorno ad Anora, una giovane spogliarellista/prostituta di Brooklyn, interpretata da Mikey Madison. Anora è una ragazza semplice. Quando si sposa con Vanya, il figlio di un oligarca russo subito pensi: “ecco, tra un po’ si scatena la tempesta”. Infatti ecco i toni tragicomici, con lo scontro tra Anora e i genitori del ragazzo.
Ecco la famiglia del ragazzo. I genitori sono la personificazione del potere e del controllo. Appena scoprono del matrimonio con Anora, scendono a Brooklyn come due squali. Non vogliono solo annullare il matrimonio: vogliono cancellare ogni traccia di lei dalla vita del figlio, con modi sempre più inquietanti.
La scena in cui i genitori si confrontano direttamente con Anora è un capolavoro di interpretazione: da un lato il gelo della classe dominante, dall’altro una ragazza che ha solo se stessa come scudo.
Il padre è un personaggio glaciale: non alza mai la voce, e incute terrore. La madre sembra più comprensiva. In realtà insieme sono una macchina perfetta.
Quindi da una parte c’è Anora, che vive a Brooklyn, nei locali notturni, con amici sbandati. Quando incontra Vanya e lo sposa, non è spinta solo dal cinismo, da un senso di emancipazione.
Dall’altra parte, la famiglia di lui rappresenta un’élite russa dove non c’è spazio per una ragazza come Anora.
In mezzo c’è Vanya, il personaggio più tragico del film.
All’inizio lo vedi come un ragazzo dolce, ingenuo, che sembra davvero innamorato di Anora. È il classico figlio di papà, protetto da tutto, che trova una ragazza che gli piace e la sposa.
Ma poi arriva la famiglia. Vanya si piega. All’inizio cerca di difendere Anora. Non ha mai dovuto davvero lottare per nulla quindi non crede in nulla. E appena i genitori alzano la posta lui inizia a crollare: piccoli silenzi, sguardi bassi, esitazioni. Sta mollando. E alla fine sceglie il silenzio. E questo è ciò che fa più male a chi guarda da fuori.
Sean Baker ci fa riflettere su come il divario sociale non sia solo economico: è culturale, emotivo, esistenziale.