Recensione su Amore a Mumbai – un film di Payal Kapadia di Massimo Coltellacci
Recensione su Amore a Mumbai – un film di Payal Kapadia
di Massimo Coltellacci
Guardare Amore a Mumbai mi ha riportato lì, quando la visitai. Quando si chiamava ancora così: Bombay, che oggi è diventata Mumbai, ed è cambiata in modo inquietante.
Tre donne vivono là. Una città affollata. Prabha lavora come infermiera. Suo marito è sparito anni fa, dopo un matrimonio combinato. Un giorno le manda una cuociriso elettrica dalla Germania. Quel regalo inutile riapre un dolore rimasto in silenzio.
Anu è giovane. Ama un ragazzo musulmano. La loro relazione è nascosta. Le loro famiglie non lasciano spazio a storie come la loro. Non trovano un posto dove potersi abbracciare.
Parvaty, cuoca dell’ospedale, ha perso casa.
Il futuro per le protagoniste non è qualcosa di garantito. È vago, incerto, negato. Prabha, Anu e Parvaty vivono una condizione sospesa, dove la possibilità di scegliere è ridotta al minimo. I loro giorni si ripetono, scanditi da turni in ospedale, doveri familiari, spazi condivisi e silenzi pesanti.
Finchè Parvaty decide di tornare al villaggio dove è nata. Prabha e Anu la accompagnano.
E così parte il viaggio.
Nel villaggio costiero Anu e Shiaz possono stare insieme senza paura, camminare mano nella mano.
Parvaty si stabilisce in una vecchia casa del villaggio e ritrova le sue radici e un senso di appartenenza che Mumbai le aveva sottratto.
Prabha, incontra un uomo misterioso sulla spiaggia. Dice di aver perso la memoria. Lei lo aiuta, lo ascolta… si accorge che è suo marito. È lui, dopo tutti quegli anni. Non prova nulla. Nessuna rabbia, nessun desiderio di riabbracciarlo. Lei non ha più bisogno di lui. Quel passato non le serve più.
Il film è una storia di emancipazione silenziosa e potente.