Recensione su The Apprentice – Alle origini di Trump – un film di Ali Abbasi di Massimo Coltellacci
Recensione su The Apprentice – Alle origini di Trump – un film di Ali Abbasi
di Massimo Coltellacci
The Apprentice racconta il giovane Trump, quello degli anni ‘70 e ‘80, lontano dalla Casa Bianca, già pieno di ambizione e voglia di potere.
A tratti mi ha ricordato House of Cards, per la cinica lucidità con cui si parla di potere. Ma anche The Social Network, per quel senso di trasformazione irreversibile in un uomo che da brillante diventa spietato. E c’è un’eco di Il Lupo di Wall Street.
L’unica figura femminile rilevante è Ivana, sua prima moglie, e il film mostra i primi anni della loro relazione, dall’incontro alla costruzione dell’immagine pubblica di “coppia perfetta”. Ma più che un legame affettivo, sembra quasi una partnership strategica. Il sentimento resta sullo sfondo, mentre in primo piano ci sono l’apparenza, i media, i soldi, l’ambizione. Non c’è mai un momento di reale intimità, di vulnerabilità affettiva. La quasi totale assenza di altre donne mostra che nell’ascesa di Trump non c’è spazio per il sentimento.
Il film mostra un giovane Trump che non si fida quasi di nessuno, ma al tempo stesso ha un fiuto incredibile per capire chi può essergli utile. Le relazioni non sono mai paritarie, i collaboratori sono strumenti, e quando non servono più, vengono messi da parte senza troppi scrupoli.
Il rapporto centrale è quello con Roy Cohn, Cohn è più di un consigliere: è un modello. Gli insegna a non ammettere mai errori, attaccare per primi, negare tutto anche di fronte all’evidenza.
Non è un caso che uno dei momenti chiave del film sia quando Trump affronta le accuse di discriminazione razziale negli affitti gestiti dalla sua azienda. Anziché cercare un accordo o difendersi nel merito, Trump – con Cohn al suo fianco – sceglie la strada dell’attacco, trasformando una causa legale in una battaglia mediatica, senza preoccuparsi troppo della verità.
La parte più drammatica: Cohn, che per tutta la prima parte è una figura quasi invincibile, spietata, si ammala di AIDS. Il film mostra Trump che si allontana. Non c’è pietà, non c’è riconoscenza, l’ultima fase tra loro è quasi muta. Cohn cerca ancora di dare consigli, ma Trump non lo ascolta più. Ormai ha imparato tutto quello che poteva da lui. E ora è pronto a camminare da solo a fare a meno di lui. Il film deliberatamente non insiste troppo, basta uno sguardo, una telefonata ignorata, un incontro evitato.